venerdì 30 ottobre 2015

AMORE E GINNASTICA


Non è ancora finito il Verdi Festival che il Teatro Regio ha già presentato il nuovo cartellone con le Opere ma soprattutto a tutta Danza.
Visto che Roberto Bolle con la sua organizzazione esterna ha fatto il tutto esaurito per tre serate, Parma Danza parte all'attacco con un ricco programma, richiamando in scena anche Svetlana Zakharova più modesta nel cachet ma altrettanto brava per fare da articolo civetta dell'intera stagione.
Speriamo che comunque non si ripeta come l'anno scorso perchè molti hanno disertato gli spettacoli che in fondo non erano che saggi ginnjici a livello scolastico più adatto agli addetti ai lavori del settore che non agli spettatori del Teatro Regio amanti della Danza abituati agli antichi fasti.


Bisogna fare un distinguo tra Danza e e Danza come si fa con l'Amore e la ginnastica da camera. Da letto.
Le performances sono sempre le stesse ma quel che le distingue è il tocco che si chiama sentimento del cuore e dell'anima. La tecnica è importante e ad evidenziarla  puntigliosamente è sempre il Kamasutra che in questo settore eros è quello che ha fatto testo con a seguire tanti manuali sul genere come Farlo Impazzire massaggiandolo qui o là facendolo venire di brutto prima ancora di godere voi. Insomma il manuale che va dalla gheisha-amante alla bagashia in carriera.
Purtroppo e sottolineiamo purtroppo l'amore è un'altra cosa che solo pochi eletti hanno il piacere di provare senza fare comodamente i porci propri, dell'uno a discapito dell'altro.
L'amore è dono di sé della propria anima con lo scambio di confidenze, di affettuosità intime e dolci prima di arrivare al congiungimento dei corpi culminando nel reciproco piacere.

L'amore è sentimento che si può anche sublimare con l'arte raggiungendo la perfezione con una tecnica perfetta di un corpo in movimento in sincrono col battito del cuore facendo emozionare come si fa con la danza.
Perr questo il Balletto Classico non morirà mai perchè ogni volta emoziona sempre come se fosse la prima volta di una notte d'amore.


Il Balletto è intriso di storie romantiche e tragiche raccontate con il linguaggio del corpo della natura e degli animali a sprigionar quel fascino fatato delle favole come metafora della vita dove il fato si presenta puntualmente da padrone per concludere con un lieto fine o una tragedia straziante. Con la Danza classica si torna bambini ingenui pieni di stupore che uno spettacolo coreografico curato e luccicante dovrebbe soddisfare. Niente è paragonabile ai tutù inamidati o quelli impalpabili a nuvola delle ballerine con il luccicchìo degli svarowsky in testa, a decorare gli chignon sempre uguali sempre immutati nel tempo, da quando il Balletto Classico ha cominciato a furoreggiare nei palcoscenici di tutto il mondo.

Non c'è nulla che possa sostituire le scarpette a punta per far volteggiare i protagonisti facendoli balzare in volo come creature di una leggerezza eccezionale tanto da librar nell'aria per poi tornare a terra avvolgendosi nei corpi per esprimersi con la carnalità del loro amore. Spirito e materia volteggiano insieme a raffigurar quella perfezione dell'uomo che va di pario passo col divino.


Pari passo in assolo in pas de deux o divertissment, il volteggiar delle scarpette a punta in scena raffigurano i momenti della vita: con il volteggiar delle braccia per fare dei comandi, per fare abbracci o mimare il volo degli uccelli (come il Lago dei Cigni) per esprimere il desiderio di elevarsi socialmente (cigno Nero) o spiritualmente (Cigno Bianco) oppure per raffigurare momenti della vita tragica come nella Carmen di Bizeth che con la coreografia di Roland Petit abbiamo visto danzare in modo sublime da Roberto Bolle con Polina Semionova nel quale con il battito del tacco di lui e quello delle punte di lei sembravano scandissero i rintocchi della morte prima che Don Josè pugnalasse “la sua” Carmen.
Bellissimo spettacolo, indimenticato che dispiace dirlo Roberto Bolle non ha replicato con altrettanta sublime maestrìa nel suo Galà in questi giorni al Regio già comunque visto all'Arena di Verona.


Questo per dire che il Balletto Classico quando viene innovato necessita sempre sempre di una coreografia geniale (come si è visto con Bejart, l'Ater Balletto, Michael Barishnicov ed il fisicatissimo e colorato Alvin AlleyAmerican Dance senza tralasciare Carolyn Carlson Silvie Guilleme e tante vestali della danza contemporanea) per dare quel tocco in più che altrimenti la farebbe scadere in un pasticcio terrificante così come si è visto nella scorsa edizione con la sperimentazione dell'opera lirica trasformata in balletto.
Una tragedia nella tragedia che ha portato gli spettatori a disertare in massa gli spettacoli. Non ci resta che sperare in questa nuova edizione di Parma Danza 2016.

martedì 13 ottobre 2015

OTELLO, BUONA LA SECONDA

Che cosa sarebbe un'opera senza il Coro? Con Otello in seconda serata al Teatro Regio di Parma è stato magnifico. Bravi Bravi Bravi.
Un coro roboante ha aperto la scena con una scenografia minimal con al centro un grande faro a fuoco accesso insieme a quelli sparsi fra la folla ad accogliere il trionfatore Otello, Duce dell'Isola di Cipro.
I movimenti scenografici erano tutti incentrati tra la sala del Trono e quella della Camera da letto entrambe chiuse da tre grandi porte per accedere ai corridoi in vista tridimensionale.





Molto elegante l'effetto anche per la scelta dei colori scenografici a tinteggio giallo topazio che facevano pendant con quelli dei costumi tutti nelle nuances delle spezie mediorientali, dallo zafferano al curcuma dallo zenzero alla noce moscata dalla cannella al cumino, dal pepe rosa alle bacche viola del ginepro, passando fra i colori di terra e sabbia dove a splendere erano i bagliori saettanti della scimitarra del Moro di Venezia a segnare il colpo di fulmine con Desdemona e la vendetta di fulmini e saette nella morte di entrambi.









L'Opera, diretta dal masestro Daniele Callegari con la regia di Pier Luigi Pizzi, ha emozionato tantissimo anche per la bellissima interpretazione dei protagonisti: Otello impersonato da Rudy Park che ha dato con il suo fisico possente grande vigore al personaggio a voce estesa e corposa da far vibrare la cassa toracica degli spettatori, mentre Desdemona era incredibilmente dolce e soave con l'interpretazione della cantante Aurelia Florian che ha raggiunto il clou alla preghiera, quell'Ave Maria cavallo di battaglia di tante soprano che l'hanno preceduta e portata all'apice fra le romanze di Verdi.
Un banco di prova raggiunto e superato  brillantemente perchè insieme ad Otello ha duettato in sincrono mixando robusta potenza a delicata purezza di una madonna casta.


L'entusiasmo era alle stelle ed alla fine gli applausi sono stati scroscianti per tutti con un'ovazione speciale  per il protagonista assoluto Otello che per impeto e temperamento ricordava molto Mario Del Monaco quando si impuntava sulla scena per far uscire la voce al massimo.


Bello bellissimo spettacolo che alla seconda serata ha sicuramente dato il meglio visto i consensi non del tutto convinti della prima. Invece nella serata di domenica è stato un vero trionfo decretato da quasi dieci minuti di applausi incessanti anche per tutti i coprotagonisti.

Molto gradita l'apparizione del Coro con il Maestro Martino Faggiani e il gruppetto di bambini che l'hanno accompagnato, ritagliando appositamente una scena tutta per loro anche se una tragedia come Otello è sempre stata spettacolo per soli adulti.
Ma ci stavano sicuramente come giusta introduzione per innovare l'Opera senza stravolgerla con rivisitazioni fantasiosamente moderne ad effetto pasticcio di cigno di Busseto cucinato a freddo, che si sa di sapore obbriobrioso.

L'operazione di questa versione dell'Otello è stata incisiva perchè si avverte che dietro c'è una grande ricerca stilistica con molta attenzione per la tradizione  tra passato e futuro.
Perchè se l'Opera non deve morire, non sono certo gli stacchetti della Tv a riportarla in auge perchè magari è vista e morta lì mentre invece è giusto che per innculcar l'amore e la passione si vada a coinvolgere anche i bambini rendendoli protagonisti in scena.

Solo così l'Opera Lirica non sarà destinata a chiudere perchè ritenuta ormai obsoleta. Certo puntare agli spettatori non è una strategia illuminante perchè magari serve a battere cassa che non è da sottovalutare, ma io penso che quello che manchi invece siano i bambini da avviare al Conservatorio (e non ai talent tv) per diventare artisti “nostrani” a livello di questi nuovi acclamati protagonisti ingaggiati a Parma, quasi tutti stranieri.
Perchè solo così il Verdi Festival sarà un'eccellenza di Parma. Come lo è stata Renata Tebaldi l'unica soprano che ha portato Parma nel mondo. Inteso come Metropolitan dove a tutt'oggi è ancora ricordata per la sua voce d'Angelo e non per aver sfasciato camere di hotels.



giovedì 24 settembre 2015

ROMEO AND JULIET AL LICOLN CENTER SAN FRANCISCO



Alvin Ailey American Dance Theater
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Lincoln Center at the Movies Launches Sept 24 with San Francisco Ballet











ROMEO AND JULIET 


lunedì 21 settembre 2015

ROBERTO BOLLE AND FRIENDS AL TEATRO REGIO DI PARMA


Per la prima volta sul palcoscenico del Regio di Parma il gala di danza più famoso al mondo.
L’étoile del Teatro alla Scala e Principal Dancer dell’American Ballet Theatre di New York Roberto Bolle, affiancato da ballerini di fama internazionale provenienti da alcune tra le migliori compagnie di balletto al mondo, interpreta un ricco programma di pas de deux e assoli, tratti dal repertorio classico, moderno e contemporaneo. Lo spettacolo, prodotto da Artedanza, è l’occasione per ammirare le più famose stelle del balletto in un confronto di tecniche, scuole e stili diversi.

Teatro Regio di Parma

giovedì 22, venerdì 23, sabato 24 Ottobre 2015, ore 20.00




ROBERTO BOLLE

AND FRIENDS





giovedì 17 settembre 2015

VERDI FESTIVAL 2015

 FESTIVAL VERDI 2015 A PARMA 1 - 31 OTTOBRE 2015

               RICORDANDO I  FASTI  DEL TEATRO REGIO DI PARMA
 OTELLO                                              
 LA TRAVIATA
NABUCCO
 IL BALLO IN MASCHERA
RIGOLETTO
IL CORSARO
AIDA
LA FORZA DEL DESTINO
 IL TROVATORE
SIMON BOCCANEGRA
MACHBETH








 

   
































martedì 1 settembre 2015

ELISABETTA POZZI CASSANDRA IN CONTEMPORANEA



    Un palco no. Datemi pochi metri di spazio e guardandovi dritto negli occhi vi faccio vedere la fine del mondo. 
E se il mondo non ha più speranza, La Fondazione Teatro Due invece sì, visto il tutto esaurito per la rappresentazione di Cassandra o Del Tempo Divorato interpretata da Elisabetta Pozzi Sabato sera ed in replica Domenica con altri due spettacoli.
Meravigliosa in assolo anche senza l'ensemble con coro delle Troiane in primis (ormai definitivamente sparite da tutte le rappresentazioni dei classici) in un monologo delirante ed ipnotico Elisabetta Pozzi è apparsa in scena con  un look rapper metropolitano in tuta e cappuccio total black  incarnando le pene dell'anima. Quell'anima persa che, vagando fra le rovine della città di Troia distrutta dal fuoco, non riesce a trovare pace nel ricordare gli eventi drammatici che hanno segnato la fine.



Ve l'avevo detto! Un classico. E fra i classici Cassandra viene ricordata come portatrice di sventura che tutti hanno deriso fino a che il fato maledetto non si era compiuto. Lei aveva ricevuto l'arte della divinazione dal Dio Apollo che si era invaghito fino al momento del rifiuto di lei per mantenere intatta la sua integrità praticando l'arte del dire in tutta libertà.
Per vendicarsi Apollo le sputò in bocca condannandola a non essere creduta nelle sue parole divinatorie formulate per amore della sua città e del suo popolo che invece non ha mai ricambiato.




Dopo essere stata stuprata nel tempio e presa da Agamennone come bottino di guerra per farne la schiava preferita, dalla sacerdotessa vergine e pura fuoriesce la strega che sulle rovine di Troia formula le sua maledizione con parole incompprensibili come una sorte di Asvar Atrack Usvan Beton...di memoria Excalibur quando la Fata Morgana le recitava nell'imparare l'arte del fare dal mago Merlino.
Tra il dire di Cassandra e il fare di Morgana c'è tutta la storia dell'umanità dai classici al Medio Evo con il Tempo Divorato fino al Rinascimento, la grande speranza della civiltà Occidentale che ha portato all'illuminismo e alle rivoluzioni fino ai giorni nostri con il progresso tecnologico.
Poteva bastare, ma la traduzione che di Cassandra ne fa Elisabetta Pozzi (con la collaborazione dell'autore e giornalista Massimo Fini) si spinge oltre divenendo l'emblema della lucidità umana capace di vedere il futuro conoscendo il passato e comprendendo il presente per formulare un vaticinio sul destino di tutta l'umanità. Destino crudele e in affondo che Elisabetta Pozzi racconta in un crescendo di musica rap in stile Eminem, cadenzando le parole  del declino e catastrofe dell'uomo avendo perso la sua identità e dunque un futuro: “...perchè ce lo siamo divorato!!!” con ritmo sempre più serrato alternato ad un urlo-tormentone agghiacciante: “Ma questo è pazzo!!!”. Lo stesso urlo che accompagnavano le parole di Cassandra che dal femminile quando era sacerdotessa in Troia, si è trasformata nel maschile profeta maledetto dei giorni nostri, passando dalla schiava stuprata sulla cenere che l'aveva fatta rinascere come strega.
Magnifica Elisabetta Pozzi nei panni di questa Cassandra personaggio che si fa in tre per divorar il tempo liberandosi alla fine degli stracci  per far emergere  quella femmina animale da palcoscenico che è: un'attrice matura ancora di grande fisicità potendosi permettere di restare in canotta facendo vedere i seni ed i turgidi capezzoli.

Bellissima e imperiosa, nel diventare vecchia si è mangiata l'attrice-fighetta degli esordi.
Infatti Elisabetta Pozzi era partita come allieva prediletta di Giorgio Albertazzi che l'aveva scelta, fra migliaia di aspiranti al Fu Mattia Pascal che stava allestendo perchè lei l'aveva steso con un lingua in bocca fulminante facendogli inghiottire la stoffa dell'attrice provocante.
La quale è diventata provocatoria quando è sbarcata a Teatro Due dove si è forgiata con il teatro sperimentale che lo caratterizza in un mix esplosivo di grande tradizione e innovazione a dettare il trend del teatro nel futuro.
Una lezione che da un mito come Elisabetta Pozzi non può che essere recepita da tutti i giovani che vogliono intraprendere l'arte teatrale. In sala erano tanti, soprattutto ragazze, sedute in prima fila tra i cuscini in terra e a gambe incrociate. E questo ci sta.
Ma ora la domande è: bisogna raccogliere o no queste provocazioni di Cassandra o Del Tempo Divorato su un'umanità destinata alla grande tribolazione fino alla scomparsa dell'umanità o è meglio sorvolare facendo tesoro delle parole di Cristo: “Guardatevi dai falsi Profeti”?. In tempo di crisi ne sorgono tanti per seminare paura e odio.

Ma siamo a Teatro e tutto quanto fa spettacolo per cui è positivo crearne sempre nuovi attraversando scenari apocallittici per indurci a riflettere, a porci domande, a cercare delle alternative per trovare soluzioni e migliorare sempre le condizioni di vita abbattendo quella cattiva sorte che tanti stanno auspicando con un futuro pieno di disgrazie che sono invece la naturale conseguenza di  errori di valutazione per mancanza di guide carismatiche dove quello che dicono e ciò che è. Come lo era Cristo.
Per cui dobbiamo essere uomini di buona volontà, con volontà di ricominciare sempre anche quando sarà finito il mondo perchè niente e nessuno mai ci piegherà sicuri che non sia questo il disegno finale  di Dio per tutto quello che lui stesso ha creato. Tutto ha una fine ma ci sarà  sempre la rinascita in qualche altro posto dell'universo inesplorato che gli scienziati stanno studiando.
Questa è la grande speranza ma ce ne sono ancora tante alimentate dalla ricerca degli scienziati sulla terra. Dove tenere i piedi possibilmente saldi, insieme ai nervi e alle idee chiare.
Strepitosa e piena di energia, l'attrice Elisabetta Pozzi (che ha firmato anche la regia) è stata salutata con applausi ed ovazioni estese anche a tutto l'allestimento dalle scene e costumi di Guido Buganga, musiche Daniele D'Angelo, cura del movimento (molto sexy!) Alessio Maria Romano. Alle prossime rappresentazioni con Clitennestra e Medea.

                                           
MEDEA-ELISABETTA POZZI LA REGINA E' NUDA

Amare e perdere la ragione.
Il film si ispira ad un fatto di cronaca che a sua volta ci riporta a un classico come Medea.
E' curioso che in Medea, secondo Elisabetta Pozzi per la Fondazione Teatro in un trittico Carta Bianca per l'evento Un'Attrice nel Mito, ci siano tanti riferimenti oltre che a vari autori che hanno approfondito questa opera classica di Euripide, da Apollonio Rodio a Muller, alla Woolf passando per Bellini, anche a fatti di cronaca clamorosi.

Elisabetta Pozzi entra in scena sfogliando il Libro con il racconto degli Eroi tra i quali riesce a mettere a fuoco la figura di Medea entrando nei suoi panni pur guardandola con il distacco di chi voglia delineare un ritratto psicologico per capire la donna, la sposa, l'amante la maga e la madre. Donne come le grandi eroine tragiche dei classici Greci o le donne
della cronaca dei giorni nostri. Chissà perchè queste ultime son  ritenute piccole. Come se si potesse dare un peso ai sentimenti perchè avvalorati da un autorevole autore.

"Un dolore ingiusto e incolmabile di cui si è al contempo vittime e artefici, un dolore che esplode nel cuore dell’ira. Questa furia dolorante è Medea”. La Medea è quella di Euripide.

Secondo Flaubert, citato da Elisabetta Pozzi, Medea siamo tutti noi. Ma lo diceva anche di Madame Bovary: ogni autore è il personaggio che man mano descrive.

Medea è un animale selvatico perchè straniera ed è il luogo che l'ha resa assassina verso i suoi figli continua la Pozzi in conferenza stampa.
Anche della Franzoni si diceva così parlando di Cogne.

La voce della Callas accompagna Medea-Elisabetta Pozzi mentre va a macellare i figli con il canto della Casta Diva della Norma. Anche meno!

Nemmeno Pasolini aveva pensato a questo escamotage per accattivarsi un successo annunciato al quale nemmeno Maria Callas si sarebbe prestata.Dispiace ripeterlo ancora, ma Elisabetta Pozzi è una grandissima attrice, una sensibilissima interprete ma come regista ha ancora molta strada da fare.


Mi sarebbe tanto piaciuto unirmi al coro della sala a tutti quiei brava, e applausi scroscianti ma mi sono sentita come quel bambino delle favole di fronte all'imperatore nudo vestito di abiti sontuosi che solo gli eletti potevano vedere mentre lui invece usciva esclamando "Ma è nudo".

Così mi è sembrata Elisabetta Pozzi in questa Medea molto sofferta molto elucubramente raccontata nel raccontarsi ma non è l'interpretazione giusta del personaggio descritto "nella sua furia dolorante" come citato sopra da Euripide ma come stratega lucido e freddo di un'azione infanticida ammantata di lirismo divino nel girare la scena tutto intorno con il passo felpato di una sorta di Belfagor mentre la Callas canta Casta Diva sovrastando il suono di un carillon a giostra.

Ora la domanda è: E meglio la furia omicida di una donna che soffre di depressione e che poi dimentica tutto o la fredda determinazione di una Medea vendicativa che prima di compiere l'atto pianifica persino la sua fuga in tutti i particolari?
Quel che è certo è che entrambe sono donne ferite a morte, mentre i loro figli sono morti davvero sotto le loro mani armate. Mostri come tutte le infanticide. Questa è la chiave di lettura.
Poi ci sono sempre tante interpretazioni per dare un senso al non senso.
Alla Franzoni per esempio tanti VIP innocentisti le hanno anche chiesto scusa. Anche meno!
Grandi applausi per tutto l'allestimento con luci Luca Bronzo, Musiche Daniele D'Angelo e spazio scenico di Matteo Petrucco con la regia di Andrea Chiodi affiancato da Elisabetta Pozzi “perchè a volte gli attori ne sanno più del regista”.
La citazione è di Woody Allen il quale a Cannes ha confessato di servirsi di grandi attori per i suoi film perchè così non li deve dirigere.

Battuta a parte il trittico è stato comunque molto interessante e onore al merito per Elisabetta Pozzi che ha avuto il coraggio di dare una sua personale chiave di lettura alle opere classiche nelle quali si percepisce che vi ha messo cuore e passione.Con tanta generosità facendomi un filo dispiacere per la mia recensione non sempre positiva perchè sicuramente non sono io in grado di farmi coinvolgere in una tragedia greca come fosse La Grande Bellezza dei classici del pensiero.
Più che il mito in questo caso mi colpirebbe  il viscerale a far riaffiorare gli istinti arcaici di Eros e Tanathos recitati con foga brutale come fossero un pugno nello stomaco come un classico dei classici.
Il resto diventa cronaca di quotidiana follia che dopo aver spopolato nei Talk della Tv fra plastici e docu-fiction per raccontar la nera, ora sbarca in Teatro perchè di tragedie nella vita non ce ne sono mai abbastanza. Da mandare a processo.

CLITENNESTRA- POZZI UN HAPPENING DA MARAT-SADE AD ESCHILO-

“Nel teatro Greco di Siracusa c'erano 7- 8 mila persone: mangiavano patatine facevano selfie (anche al Regio, come citato nel post sotto sulla Danza al Regio di Parma) insomma c'era il bivacco. Qui invece mi sento come in famiglia”.
Parole più, parole meno Elisabetta Pozzi inizia lo spettacolo del suo trittico a Carta Bianca un'Attrice nel mito con Clitennestra O La Morte della Tragedia nella serata di Sabato 12 Aprile con la Fondazione Teatro Due,  facendo un happening col pubblico che invita a salire con lei sul palco, con una coppia per fare coro e un gruppo a fare giuria per una sorta di processo a Clitennestra della quale Elisabetta alla fine emette una sentenza: “Clitennestra è innocente perchè abbiamo dato un senso al non senso.

In che senso? verrebbe da dire alla Carlo Verdone alzando gli occhi al cielo per riflettere.
Tra l'altro Elisabetta Pozzi con Carlo Verdone ha lavorato al cinema in un cameo nel film “Maledetto Il Giorno che Ti ho incontrato”, ma era comunque riferito a Margherita Buy, la protagonista.
E' stato un lavoro difficile per Elisabetta calarsi nei panni di Clitennestra ma ancora più difficile per noi riuscire a capire quello che a prima vista ci sembrava un gran pasticcio perchè lei entrava e usciva di scena a raccontar come se fosse in cattedra una donna regina ma anche madre adultera e assassina. Vittima o carnefice? La spada insanguinata che Elisdabetta-Clitennestra sguainava e roteava recitando i versi di Eschilo poteva darci una risposta secca se non fossero state inscenate tante altre performances ad aprire tante altre strade inaspettate.

Prima fra tutte Marguerite Yourcenar con la quale Elisabetta si trasforma in una Clittenestra in versione “molto francese” che - dopo una serie di elucubrazioni mentali a coinvolgere tutte le donne perchè “alzi la mano chi almeno una volta nella vita non ha pensato di far fuori il marito”(in questo caso  una sorta di tiranno che porta in casa anche l'amante) - uccide
Agamennone  senza pietà mentre fa il bagno in vasca. Alla Marat Sade di Peter Weiss, facendo giustizia come una sorta di Carlotta Corday. Molto francese!  Egalitè. Oltre la donna ecco la rivoluzionaria a dare un risvolto politico alla tragedia.

La Fraternitè è rappresentata dai due figli Oreste ed Elettra che si alleano per vendicare il padre con la mano assassina di Oreste il quale non indietreggia nemmeno quando la madre lo invoca di desistere ricordandogli tutto il latte che aveva succhiato attaccato al suo seno. Latte evidentemente acido come quello di una donna segnata da tante tragedie già ancor prima di aver messo al mondo i figli di Agamennone (una delle quali, Ifigenia, sacrificata a morte prima di partire per la Guerra di Troia) cresciuti rancorosi e vendicativi. Assassini pure loro.
A perseguitare Oreste arrivano le Erinni che portano il seme della maledizione per rendere, come una sorta di libertè,  giustizia.

La stessa che oggi viene incarnata con la democrazia per liberarci da questo seme maledetto che ha incatenato a sventura la stirpe degli uomini.  E là dove non c'è democrazia sono tornate le Erinni?
Questa domanda non ci farà dormire per notti intere fino alla soluzione che potrebbe arrivare con la caduta del mito di Clitennestra vittima e carnefice di un tempo ormai perduto che tanti autori, dai classici ai contemporanei, hanno resa immortale essendo l'archetipo della grande madre terrificante. Oggi tradotta in protagonista della cronaca nera.
Clitennestra vive per sempre come ha scritto sulla lavagna Elisabetta Pozzi. Se lo dice lei c'è da crederci ma è arrivata ultima come traduttrice in una sorta di copia e incolla ad effetto collage del mito Clitennestra  O la morte della tragedia.

Ma non ultima come grande attrice che con tutte quelle interpretazioni in un mix accattivante fra tradizione classica e innovazione contemporanea con citazioni da Pasolini a O'Neil, passando da uno spezzato di farsesco ad effetto “Gran pasticcio  è Servito”,  è riuscita a far cadere il mito Elisabetta e Clitennestra insieme.
Ma non tutto è perduto. Dopo la splendida Cassandra, alla prossima con Carta Bianca a Medea!



domenica 9 agosto 2015

MADAME BUTTERFLY. QUANDO MORIRE E' A PIACER SUO.

“Piccola mogliettina dolce verbena parole dolci lui mi diceva quando andava a venir...”Purtroppo a piacer suo. Solo suo. 
Poche gioie per la piccola mogliettina Cio Cio San (Yasko Sato) madama Butterfly. “Pinkenton, prego”, ci tiene a precisare lei al Console anche se lui l'ha lasciata sola con un bambino, senza mezzi di sostentamento per accudirlo e farlo crescere come un piccolo americano, perchè la sua gente, tranne la fedele e devota serva Suzuky (Silvia Beltrami) l'ha ripudiata come traditrice
Succede spesso nei matrimoni misti nei quali la coppia si trova isolata, a meno che non si integri con la cultura predominante, in questo caso specifico quella americana che avrebbe dato grande dignità a Madama Butterfly.

Una dignità nella quale si è crogiolata come in un sogno per poco tempo, giusto quello di consumare la luna di miele perchè l'Ufficiale Pinketon (Angelo Villari) a tal proposito aveva già le idee chiare  la sera prima delle nozze quando confidava all'amico Console (Damiano Salerno) di sentirsi in fregola nel trovarsi quel bel giocattolino nel suo letto.  Niente sogni ma solide certezze: ufficiale ma poco gentiluomo.
Succede nei matrimoni misti quando lui è in posizione dominante perchè tende a trattare la sua metà come sottoposta e persona di servizio. La quale prende alla lettera il giuramento di obbedienza mettendo la sua vita nelle mani del padre-marito-padrone .Il quale esige che lei si privi del loro figlio per darlo in adozione alla sua seconda moglie, americana e culturalmente più adeguata.
Un costo elevato che Cio Cio San cerca di coprire sacrificando la sua vita per avere il perdono del figlio e per far piacere a “suo” marito.
Succede di emozionarsi nell'Opera Lirica ma mai come in Madame Butterfly, specie in questa edizione al Teatro Regio di Parma che ha chiuso la Stagione 2015.
Forse perchè la protagonista era un giapponese e dunque molto nella parte della dolce Butterfly, vittima del suo talento di artista-geisha e della sua bellezza avendolo donato fiduciosa a quello che riteneva il suo grande amore: anima persa in un lago di sperma scaricatole con disprezzo per il solo piacere di un attimo. L'attimo crudele che segna per sempre la sua vita. Fazzoletti alla mano, occhi lucidi in un silenzio tombale e religioso il pubblico ascolta estasiato il canto del cigno di Cio Cio San prima di fare Harakiri perchè se la vita non ti dà onore, la Katana (l'anima del guerriero giapponese)  te lo restituisce.

Con la stessa dignità di un Samurai Cio Cio San ridiventa madame Butterfly nome e cognome del quale essere dignitosamente fiera. 
Questa bellissima Opera di Puccini il Teatro Regio ha chiuso in bellezza  per la grande emozione che la protagonista ha suscitato tanto da non far rimpiangere Verdi anche se è tutta un'altra musica.
La scelta della messa in scena di due opere come Elisir d'Amore di Gaetano Donizzetti e Madama Butterfly di Giacomo Puccini per aprire il Regio al mondo che non sia solo quello di Verdi, è stata coraggiosa e sicuramente difficile, ma alla fin fine ha dato buoni risultati. Se la prima ha convinto soprattutto per la scenografia in  gioco di luci e ombre lasciando piuttosto indifferenti per il contenuto dell'opera, questa seconda è stata apprezzata soprattutto per la performance  e il contenuto al di là di una scenografia di maniera (Kaioko Ikeda) da ristorante sushi, con il bonsai, le gheishe con l'ombrellino e tutto quanto fa giappone dal cigliegio in fiore fino ai fiocchi di neve.


Insomma la Lirica ha offerto un buon spettacolo anche con sole due rappresentazioni, poche ma buone.
Non è stato così per la danza perchè l'offerta ha badato più alla quantità che alla qualità concentrando un numero esagerato di balletti con coreografie da chissavattelapesca, in un accozzaglia di stili e coreografie fra le più disparate per farsi notare come emergenti trasgeressivi e innovatori a costo degli sbadigli degli spettatori. Che non hanno gradito in pieno il fatto che basti far ginnastica palestrata far vedere il seno e una spaccata in playback con qualche romanza della lirica in sottofondo per fare danza innovativa e sublime. La strada in questo senso è lunga e bisogna che i giovani artisti la percorrano facendo gavetta prima di arrivare a un tempio della Lirica come étoile di un qualsiasi saggio scolastico di provincia che non rende nemmeno in termini di cassetta visto il vuoto in sala che hanno fatto questi balletti di danza moderna.