martedì 20 giugno 2017

CLITENNESTRA- POZZI DAL BIVACCO AL TEATRO IN FAMIGLIA

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“Nel teatro Greco di Siracusa c'erano 7- 8 mila persone: mangiavano patatine facevano selfie (anche al Regio, come citato nel post sotto sulla Danza al Regio di Parma) insomma c'era il bivacco. Qui invece mi sento come in famiglia”.
Parole più, parole meno Elisabetta Pozzi inizia lo spettacolo del suo trittico a Carta Bianca un'Attrice nel mito con Clitennestra O La Morte della Tragedia nella serata di Sabato 12 Aprile con la Fondazione Teatro Due,  facendo un happening col pubblico che invita a salire con lei sul palco, con una coppia per fare coro e un gruppo a fare giuria per una sorta di processo a Clitennestra della quale Elisabetta alla fine emette una sentenza: “Clitennestra è innocente perchè abbiamo dato un senso al non senso.

In che senso? verrebbe da dire alla Carlo Verdone alzando gli occhi al cielo per riflettere.
Tra l'altro Elisabetta Pozzi con Carlo Verdone ha lavorato al cinema in un cameo nel film “Maledetto Il Giorno che Ti ho incontrato”, ma era comunque riferito a Margherita Buy, la protagonista.
E' stato un lavoro difficile per Elisabetta calarsi nei panni di Clitennestra ma ancora più difficile per noi riuscire a capire quello che a prima vista ci sembrava un gran pasticcio perchè lei entrava e usciva di scena a raccontar come se fosse in cattedra una donna regina ma anche madre adultera e assassina. Vittima o carnefice? La spada insanguinata che Elisdabetta-Clitennestra sguainava e roteava recitando i versi di Eschilo poteva darci una risposta secca se non fossero state inscenate tante altre performances ad aprire tante altre strade inaspettate.

Prima fra tutte Marguerite Yourcenar con la quale Elisabetta si trasforma in una Clittenestra in versione “molto francese” che - dopo una serie di elucubrazioni mentali a coinvolgere tutte le donne perchè “alzi la mano chi almeno una volta nella vita non ha pensato di far fuori il marito”(in questo caso  una sorta di tiranno che porta in casa anche l'amante) - uccide
Agamennone  senza pietà mentre fa il bagno in vasca. Alla Marat Sade di Peter Weiss, facendo giustizia come una sorta di Carlotta Corday. Molto francese!  Egalitè. Oltre la donna ecco la rivoluzionaria a dare un risvolto politico alla tragedia.

La Fraternitè è rappresentata dai due figli Oreste ed Elettra che si alleano per vendicare il padre con la mano assassina di Oreste il quale non indietreggia nemmeno quando la madre lo invoca di desistere ricordandogli tutto il latte che aveva succhiato attaccato al suo seno. Latte evidentemente acido come quello di una donna segnata da tante tragedie già ancor prima di aver messo al mondo i figli di Agamennone (una delle quali, Ifigenia, sacrificata a morte prima di partire per la Guerra di Troia) cresciuti rancorosi e vendicativi. Assassini pure loro.
A perseguitare Oreste arrivano le Erinni che portano il seme della maledizione per rendere, come una sorta di libertè,  giustizia.

La stessa che oggi viene incarnata con la democrazia per liberarci da questo seme maledetto che ha incatenato a sventura la stirpe degli uomini.  E là dove non c'è democrazia sono tornate le Erinni?
Questa domanda non ci farà dormire per notti intere fino alla soluzione che potrebbe arrivare con la caduta del mito di Clitennestra vittima e carnefice di un tempo ormai perduto che tanti autori, dai classici ai contemporanei, hanno resa immortale essendo l'archetipo della grande madre terrificante. Oggi tradotta in protagonista della cronaca nera.
Clitennestra vive per sempre come ha scritto sulla lavagna Elisabetta Pozzi. Se lo dice lei c'è da crederci ma è arrivata ultima come traduttrice in una sorta di copia e incolla ad effetto collage del mito Clitennestra  O la morte della tragedia.

Ma non ultima come grande attrice che con tutte quelle interpretazioni in un mix accattivante fra tradizione classica e innovazione contemporanea con citazioni da Pasolini a O'Neil, passando da uno spezzato di farsesco ad effetto “Gran pasticcio  è Servito”,  è riuscita a far cadere il mito Elisabetta e Clitennestra insieme.
Ma non tutto è perduto. Dopo la splendida Cassandra, alla prossima con Carta Bianca a Medea!

venerdì 14 aprile 2017

IL BORGHESE GENTILUOMO IN LIBERTY


 Il Borghese Gentiluomo è un'opera di Molière poco rappresentata per cui risulta difficile fare un parallelo tra la trasposizione classica e quella contemporanea in scena a Teatro Due con la regia di Filippo Dini.
Il quale dopo l'Ivano dello scorso anno si conferma con una traduzione del classico in liberty.
Le scenografie infatti sono composte da pareti roteanti interscambiabili in stile art déco, corredate da lampadari a gocce a bagliori saettanti per sottolineare lo scintillìo del lusso fra divani e tapezzerie in pendant in una sorta di gazzabuglio fra l'antico, il modernariato ed il metallaro punk caricando di disordine la scena per renderla come in una sorta di bordello pimpante e variegatra a supportare una comicità di un parvenu: In odor di nobiltà.

Questa opera di Molière non è una comedie balet a ritmo di un minuetto a cavallo seicentoe settecento, ma una ballata al suon di una pianola incasinata nella Belle Epoque.
Tanto chiasso in frizzi e lazzi per inquadrare l'ascesa al vertice della nobiltà di un rozzo figlio di mercante diventato talmente ricco da potersi permettere di comprare anche un titolo per elevar la sua persona ad alto rango con relativa stemma a una sorta de' casato de' noantri.
La commedia rappresentata a Teatro Due cade a fagiolo nell'insediamento di Donald Trumpo alla Casa Bianca, prestandosi ampiamento al parallelo perchè anche lui ricco borghese rampichino che grazie all'aiutino di Vladimir Putin è riuscito nell'intento di “comprarsi” il titolo di Presidente degli Stati Uniti pur non avendo i requisiti per governare come statista illuminato, rimanendo sempre e comunque un pidocchio arricchito.

Tutto ruota, come in ogni opera di Molière, intorno al protagfonista, signor Jourdain (Filippo Dini) circondato da nobili squattrinati, stilisti cialtroni, servette  petulanti e saccenti, servi tontoloni, vedove eleganti e raffinate che aprono le gambe di nascosto in modo signorile, figlie truzze assatanate e moglie sciuretta ben felice del suo stato di ricca borgfhese stimata e onorata  conscia del fatto che in business classe sarebbe additata con spregio come rampichina.
Dopo il palleggio delle battute comiche (esilaranti e sganascianti per un pubblico già preparato al divertissment da un intenso battage pubblicitario e suadente giusto per una massa di “pecoroni” tanto per citare Mastroianni  in Ginger e Fred di Fellini), a rappresentare il fascino pacchiano della borghesia che si stava imponendo avendo pane e denti per mettere le mani in pasta nelle brioches della nobiltà. Finita male come si sa.
Anche la commedia finisce male con un escamotage nel quale il protagonista si ravvede dopo averle prese di santa ragione da tutti quelli che gli “volevano bene”, a lui ed al patrimonio che stava dilapitando distribuendo mance a tutti i profittatori adulatori.
La regia è dinamica per cui le due ore passano in fretta anche senza intervallo perchè all'interscambio delle scene provvedono gli artisti stessi muovendo agilmente le parenti roteanti nel piroettante arredo in art dèco con sottofondo il leit motiv della pianola. Tanti applausi per tutti e tanti sorrisi di soddisfazione fra il pubblico:”Finalmente una bella commedia”
E si sa il pubblico nei giudizi  è sempre sovrano. O forse era la claque?


Tra il classico ed il contemporaneo  la claque non si è mai innovata restando rumorosamente immutata nei secoli e millenni della storia del teatro.

venerdì 7 aprile 2017

IL MALATO IMMAGINARIO IN COMEDIE BALLET

Il Malato Immaginario è un'opera di Molière tradotta anche al cinema con un film di Alberto Sordi che della farsa aveva fatto una storia comico-pecoreccia della tipica commedia all'italiana girando intorno all'enteroclisma-alambicco, oggetto del suo “desiderio”  per poi sfociare in un turbinio di venti come preludio per depurare l'organismo di un malato dipendente del piacere anale dato dal clistere e nell'evacuazione sul vasino. Tipica fase, di scuola Freudiana, del bambino.



A Teatro invece ci sono state innumerevoli versioni tutte imperniate su cadenze tristi e lugubri per dare dignità attraverso la sofferenza a un personaggio maniaco delle tisane depurative come a volersi liberare del peso della vita e di tutto il fardello delle responsabiliutà del quotidiano.

Il Malato Immaginario in scena a Teatro Due invece è stato una sorpresa confermata comunque dopo la scorsa edizione della Locandiera  sempre con la regia di Walter Le Moli. Il quale in questi due contesti si esprime rivelando un lato leggiadro del suo spirito creativo  che con il Malato Immaginario di Molière a sfondo musicale e danzante ha raggiunto la punta massima di spettacolo accattivante e di successo.

Con ritmo vivace ha saputo tradurre il testo originario di una comedie-ballet di Molièr  mettendo in scena un ensemble (produzione Fondazione Teatro Due) ben assortito e coeso nel recitare i versi in armonia con una mimica teatrale gesticolante nella forma e dai toni enfatici nella sostanza ad accompagnare i sentimenti dei due giovani innamoratri (la figlia Angelica, Paola De Crescenzo, ed il suo cantore Cleante, Luca Nocera) mentre, danzando sulle note in versi, cantano con voci armoniose il loro amore sotto metafora di un pastore e di una pastorella (tipico connubio dell'immaginario erotico come si evince da tante pitture e disegni dell'era “volgare” che va fino a metà 700).
Il pecoreccio del tema clistere viene sublimato da questa storia d'amore che fa da fulcro alla commedia più di quanto lo possano le evacuazioni del protagonista traducendo in pieno proprio in questo punto la comedie-ballet di Molière innovata con una citazione al musical La-la-Land (candidato all'Oscar con Emma Stone e Ryan Goslyn) con i due protagonisti impegnati in un duetto romantico e mieloso sul filone d'oro dei grandi musical Hollywoodiani.





















Ma sono tutti insieme a danzare con leggiadria e grazia sul palco del Malato Immaginario in un divertissment in ritmo seicentesco come quello che accompagnava i balli a Versailles perchè Molière era un autore alla Corte di Luigi XIV. Il quale comunque aveva rifiutato la rappresentazione dell'opera licenziando il grande commediografo, rispecchiandosi lui stesso o quanto meno buona parte della classe nobile, in quel personaggio maniaco-depresso del malato Argan, Massimiliano Sbarsi,  sempre circondato da luminari della scienza medica in veste di lugubri portatori di morte, dai quali la classe nobile si sentiva dipendente e succube, che pretendevano di dare con salassi e pozioni purgative la guarigione ad un uomo colpito dal male


La battuta di saggezza popolare lungimirante è quella del fratello di Argan, Beraldo (Emanuele Vezzoli) una sorta di angelo custode che lo illumina consigliandolo di liberarsi dei “luminari” prof. Purgon e Fecis (Nanni Tormen) e del figlio di quest'ultimo Tommaso (Sergio Filippa) aspirante sposo imbranato nel corteggiamento della giovane Angelica, perchè per guarire da ua malattia basta mettersi a riposo aspettando che passi seguendo il ritmo della natura la quale dopo ogni caduta risorge trionfante.

Solo dal bene per se stessi può nascere la guarigione per cui tutti intorno lo aiutano a coccolarsi un po' prodigandosi nel fare cerchio esprimendo a cuore aperto i loro sentimenti esternati grazie ad un escamotage della “petulante” domestica la quale facendolo sembrare morto smaschera la sua seconda moglie Beline avida e bugiuarda (Cristina Cattellani) per farlo poi finire fra le braccia dei suoi familiari sinceri nonchè della scaltra ed impicciona serva Toinette (Laura Cleri)  considerata governante insostituibile della casa perchè fedele ed efficiente.
Con una laurea ad honorem in medicina ad Argan, avendo nel corso della sua immaginaria malattia fatto una cultura sui mali e sulle cure, inscenata da amici e parenti recitando in latino maccheronico-gogliardico, il Malato Argan chiude con l'ipocondria entrando in scena in pantaloni dopo essersi liberato della camicia da nottre a danzare con il bastone in mano (arraggiamenti musicali di Bruno De Franceschi) la rinascita in una nuova vita facendo un inchino in sincrono al rotear del braccio.
Questa traduzione di Walter Le Moli è stata molto apprezzata dal pubblico che anche nell'ultima serata, dopo diverse rappresentazioni,  ha fatto il tutto esaurito in sala con lunghi applausi finali a tutti i protagonisti in abiti contemporanei (costumi di Gian Luca Falaschi), tranne Argan in perfetto stile aristo seicentesco ed i medici con mantello nero e becco a rappresentare una classe “precieuses ridicules” mentre gli altri personaggi   erano in borghese a significar che quella classe si stava imponendo in tutta la sua scaltra praticità e voglia di vivere da “incanalare” in senso positivo con arte e operosità.



Classe che comunque emergerà con tutta la sua forza manageriale e tale da superare quella nobile con la Locandiera di Carlo Goldoni in cartellone in replica e sempre sotto la regia di Walter Le Moli il quale ha fatto centro con la doppietta del Malato Immaginario (assistenti alla regia  Caroline Chantolleau e Giacomo Giuntini) sia nella scorsa stagione che in questa attuale. Bel colpo.

giovedì 16 marzo 2017

ANNA BOLENA TRA STORIA E OPERA


Anna Bolena in scena al Teatro Regio di Parma: Donizzetti non è Verdi d'accordo, ma non mette nemmeno d'accordo sulla fedeltà alla storia dei Tudor.
 Purtroppo ci sono molte traduzioni di autori che hanno fantasticato sulla tragica storia di Enrico VIII e Anna Bolena sia al cinema che in serial Tv passando dal Teatro dell'Opera quest'ultima con la messa in scena della Bolena che duetta con la sua serva infedele e rivale Jane Seymour.
Questa versione contrasta con i documenti storici che propongono invece una Bolena fiera e aggressiva mai piegata nemmeno di fronte alla morte che lei stessa sceglieva rifiutando l'annullamento offerto da Enrico per salvarle la vita, per preservare il trono a sua figlia Elisabetta, considerata l'erede legittima dopo l'annullamento del matrimonio con Caterina.
La sua volontà di essere regina era più forte della sua vita stessa che ha così potuto perpetrare attraverso la sua specie incarnata in Elisabetta i cui tratti somatici si avvicinano molto a quelli della madre Anna tranne per i capelli rossi e la carnagione lattea ereditati dal padre. Il quale invece, sempre nei ritratti storici assomiglia marcatamente alla figlia Mary detta non a caso la sanguinaria.
Pertanto quest' abbassarsi al livello di una serva non è della personalità di Anna Bolena confermata dalla storia che la descrive rancorosa verso la sua ancella tanto da arrivare a ricattare il Re di bandirla da Corte pena di non soggiacere più con lui ben conscia del forte ascendente sessuale sul Re che l'aveva sposata dopo averla fatta sua amante e dunque conosciuta intimamente ben sapendo di che pasta fosse fatta.
Ma nonostante questo asservimento sessuale non era il sesso a fare da collante di questa coppia regale bensì l'ambizione di portare la Corona che se per Anna si realizzava nella discendenza alla figlia Elisabetta per Enrico rappresentava una frustrazione rimanendo il vuoto di un erede maschio a perpetrare il nome dei Tudor.

Un gioco duro che ha visto giocare due duri come Enrico ed Anna i quali si sono dati battaglia per questa sostanziale differenza a dimostrar comunque la sottile intelligenza della Bolena nel puntare con determinazione sulla Corona quale fulcro del potere assoluto sul Regno di Inghilterra che si sarebbe tramandato nei secoli e millenni, riuscendo con ferrea volontà nell'intento di farla posare sul capo di Elisabetta.
La quale con la fine del suo Regno ha segnato anche la fine dei Tudor, ma non della Corona perchè è passata saldamente indenne fino ai giorni nostri con la Regina Elisabetta  che la indossa negli eventi più importanti del Regno Britannico in cui regna sovrana.

Questa premessa è solo per assistere all'Opera con le idee chiare per fare osservazioni anche sui dettagli: se il Cast si è fatto onore accompagnato dall'Orchestra Regionale dell'Emilia con il Coro del Teatro Regio diretto dal maestro Martino Faggiani tutto l'allestimento ha sorpreso anche se da tempo l'Opera classica ci siamo rassegnati a vederla innovata con effetti scenografici digitali a sostituire o a supportare come in questo caso di Anna Bolena le classiche scenografie in carton-gesso ed i fondali in tromp-l'oeil illuminati con giochi di luce colorati e a intermittenza o fasci di fari puntati sul protagonista per cui il mix fra classico e moderno curati dalla scenografa Monica Manganelli è stato apprezzato avendo saputo rappresentare il contesto


cinquecentesco in modo stilizzato facendo roteare in scena delle pareti in stile trasformate in porte, finestre e prigioni  con la luce a faro ad illuminare una gabbia per la Regina come metafora di un uccellin al quale hanno tarpato le ali per interrompere il suo sogno di volare verso alti orizzonti perchè troppo carica di colpe per aver tradito il Re con vari personaggi di Corte tra i quali il fratello, Paolo Battaglia Lord Rocheford, un suo vecchio spasimante Lord Riccardo Percy Giulio Pelligra, e con il suo cantore e paggio Smenton (interpretato da Martina Belli, che non aveva nulla di efebico avendo un abbondante seno).
In realtà le colpe di Anna erano ben altre e prima fra tutte quella di aver condannato a morte dignitari importanti della Corte solo perchè ostili ed oppositori al riconoscimento del suo matrimonio e del conseguente scisma dalla Chiesa Cattolica.
Tutte colpe dal quale il Re  si voleva assolvere facendo apparire la Regina come una strega  artefice della scissione e di tutti i delitti di cui si era macchiato Enrico VIII confermati dal fatto che alla morte di Anna aveva mantenuto la sua carico di capo della Chiesa Anglicana fuori dal Papato di Roma.
Jane Seymour è una delle tante cortigiane che gli ronzavano intorno che “grazie” alla sua morte precoce nel partorire l'unico figlio maschio di Enrico, è stata assurta a mito come unico vero amore del sovrano..
Il quale invece si è sbarazzato sbrigativamente di tutte le mogli fino all'ultima (la sesta) che non ha potuto spodestare perchè morto prima lui.


Passino gli errori storici sul libretto dell'Opera, passino pure i supporti digitali perchè in questo contesto erano comunque di grande effetto confermando il talento di Monica Manganelli come fenomeno in ascesa della città di Parma, ma non passano assolutamente le scelte dei costumi con una pelliccia di volpe sul protagonista il basso Marco Spotti (Enrico) quando si sa che nel potere la più alta carica è rappresentata con l'ermellino come si evince anche dalle immagini storiche del Re.


Non passa nemmeno la scelta del vestito tutto rosso di Anna, Yolanda Auyanet, come una sorta di Rossella di Porta a Porta (v. le Porte di cui sopra)  quando sentendosi tradita dai due amanti si prostra ai piè della sua rivale Seymour, Sonia Ganassi) anche lei curiosamente vestita e pettinata come una fantessa robusta in chemisier longuette con tacco a rocchhetto e caschetto di capelli biondi e ricci come una sorta di badante o ancor meglio di Camilla duchessa di Cornovaglia mentre si inorridisce sulla scena finale quando la Bolena appare di bianco vestita in raso damascato come una sorta di Biancaneve  vittima sacrificale  della rivale in competizione per la carica di più bella del reame. Una mise virginale che contrastava alquanto con la stazza della protagonista di forma giunonica in grado di mettere KO il Re con una spallata ben assestata.
Tutto è lasciato alla fantasia dell'autore che giustamente non si è curato di dare un occhio alle immagini d'epoca nelle quali la Bolena è sempre rappresentata con il copricapo esagonale e il décolleté quadrato. Perchè copiare?
Così della Bolena originale si perde ogni memoria per riportarla in parallelo a quella dell'Aida (della quale tra l'altro la Manganelli ha curato la scenografia per altri teatri) con la Regina Amneris in duetto con la schiava rivale che comunque con Giuseppe Verdi perde la partita Regina vs Ancella-Amante del Re. Un leit motiv che vedrà protagonista anche Elisabetta con la sua dama di compagnia che intreccerà una tresca con l'amante della Regina rimanendo incinta senza il consenso di Sua Maestà.
A parte la libera interpretazione della storia Anna Bolena in questa opera è intrisa di un sentimentalismo bacchettone con tanti sensi di colpa e assoluzioni generose verso la rivale Jane Seymour prima di salire sul patibolo ingiustamente condannata dal Re perchè non la desiderava più disgustato dalle sue intromisissioni nella politica di Governo dove la Bolena metteva il naso per soddisfare le sue mire di potere dalle quali tutte le altre sono rimaste estranee accontentandosi di fare le Reginette delle feste di Corte o di essere usate come pedine (come l'ultima moglie del Re)  nella guerra fra Anglicani e Cattolici che scalpitavano per tornare a Corte .

Infatti vincevano con il breve Governo della figlia di primo letto di Enrico, Mary La sanguinaria avendo fatto strage fra i seguaci di suo Padre  allontanatosi dal Papato di Roma. Invece Elisabetta si prodigò per difendere il nuovo corso del Regno di Inghilterra combattendo e vincendo sulla cattolicissima Spagna per regnare in pace lasciando libero il suo popolo di seguirla.
Una scelta che l'Inghilterra ha fatto a quel tempo rimanendo fedele nei millenni  alla Corona dei Tudor passata nella storia da Elisabetta prima ad Elisabetta seconda  a chiudere il cerchio magico delle grandi Regine d'Inghilterra per aprirsi ai nuovi eredi al trono tutti maschi, da Carlo ai figli William ed Harry passando dal nipote George.
Tornando all'Opera, i mimi inquietanti al posto del divertissment hanno decisamente annoiato muovendosi con una lentezza che ha segnato il passo dell'opera portata lungamente avanti senza ritmo in un ambientazione da seconda guerra mondiale con i soldati in divise militari di quel tempo.


“Ho voluto raccontare la storia di due donne in un mondo dominato da maschi che si aggrappano l'un l'altra” recita il regista  Alfonso Antoniozzi nel libretto anche se non pare questa l'intenzione di Donizzetti (che ha invece fatto duettare due rivali come una sorta di donnine in crinoline ottocentesche piccole piccole e disperate: la prima perchè vecchia ciabatta, la seconda nel provar  vergogna d'essere ruba-mariti) perchè a quel tempo non c'era solidarietà al femminile ed il femminismo era ancora molto lontano. Pertanto questa libera interpretazione sembra un escamotage per fare qualcosa di originale come quella di cambiare la cornice in un quadro antico lasciando intatto il testo classico.
I giovani autori si sbizzarriscono a costo di lasciare il pubblico impreparato alquanto perplesso ben sicuri che si abituerà  al cambiamento perchè  per “attenersi” ai documenti storici  bisogna far ricerche documentandosi pazientemente facendo anche uno sforzo di costi di lavorazione che i laboratori del Teatro Regio evidentemente non sono in grado di sostenere.
In attesa che arrivino gli sbandierati fondi e sperando che vadano ad arricchire l'opera riportandola agli antichi fasti gli applausi scroscianti per questa versione di Anna Bolena non si son fatti mancare ad onorare il talento degli artisti e nel rispetto degli addetti ai lavori decretando un gran successo allo spettacolo.
“Non si viene a Teatro per l'Opera in sé perchè se vuoi ascoltarla veramente ci sono i vecchi dischi, le cassette o i dvd” dice un vecchio spettatore abituè che frequenta il Teatro già dai tempi del dopoguerra: “A Verona per esempio c'è un'acustica terribile ma lo spettacolo è unico nella sua maestosa cornice così come qui al Teatro Regio è elegante raffinato. Non si viene tanto per l'Opera quanto per la cornice con  gli scenari del palco (ora in digitale) il foyer (pochi abiti lunghi), i loggionisti (che nessuno intervista più) i palchi con gli spuntini all'intervallo (che ora si fan al cafè del Teatro), tutto un insieme che ha fatto appassionare alla Lirica  noi Parmigiani più di qualsiasi altra forma di spettacolo”.
Così parlò il tipico parmigiano melomane dalla platea.  E allora perchè cambiare questa cornice e non continuare nella tradizione degli antichi fasti?  Con questo senza nulla togliere al genio creativo innovativo di scenografi costumisti e tecnici di luci perchè ci sono tanti settori nei quali possono esprimersi al meglio.

 I templi della Lirica continuando con gli allestimenti  delle Opere seguendo la tradizione che l'hanno fatta grande diversa e unica dovrebbero essere considerati patrimonio dell'umanità.





giovedì 23 febbraio 2017

NUOVA STAGIONE ALVIN AILEY

ALVIN AILEY
AMERICAN DANCE THEATER





Groups Save 20% on Ailey II at NYU Skirball Center, March 29-April 2

Gather a group of ten or more friends, family, colleagues and join us for our downtown debut at NYU Skirball Center to save 20% on prime seating. NYU Skirball Center is conveniently located on Washington Square Park South close to restaurants, cafes, shopping and more. Make a day of it and explore the historic Greenwich Village neighborhood, all easily accessible by public transportation.

All New program
Mar 29 at 7:30pm, Mar 31 at 8:00pm, April 2 at 3:00pm and 7:30pm
Circular (2017) / Stream of Consciousness (2017) / Sketches of Flames (2017)

Contemporary Favorites program
Mar 30 at 7:30pm, April 1 at 2:00pm and 8:00pm
In & Out (2016) / Meika (2017) / Gêmeos (2016) / Something Tangible (2016)

For more information and assistance planning your group’s outing, please contact Maria Flotta at 212-405-9082 or email groupsales@alvinailey.org.

martedì 21 febbraio 2017

BUTTERFLY TRIONFA ALLA SCALA. GIOIELLI E BIJOUX NEL FOYER

9 Dicembre 2016  -L'evento mondano di questi giorni è sicuramente l'Opera della Scala di Milano che ha aperto con Madama Butterfly trasmessa in diretta su Rai Uno per allagarsi al grande pubblico televisivo che ha gradito.
L'Opera è stata un trionfo non solo per tutto il cast ma anche per l'allestimento non in stile giapponese ma seguendo la tradizione Giapponese fra Teatro No
 ("Il nō (能? lett. "abilità")[1] è una forma di teatro sorta in Giappone nel XIV secolo che presuppone una cultura abbastanza elevata per essere compreso, a differenza del kabuki che ne rappresenta la sua volgarizzazione. I testi del nō sono costruiti in modo da poter essere interpretati liberamente dallo spettatore, ciò è dovuto in parte alla peculiarità della lingua che presenta numerosi omofoni. È caratterizzato dalla lentezza, da una grazia spartana e dall'uso di maschere caratteristiche")
e cartoiline sal Sol Levante:: grandi vetrate che si aprivano ad incastro, peschi in fiore, gheishe in Kimono nel quale imperava il bianco insieme al bianco delle maschere tragiche con il mascara che colava a pianto delle figuranti a preannunbciare la tragedia della protagonista in Harakiri come una sorta di coro silenzioso delle Troiane nelle tragedie Greche. A conclusione tanti applausi che i titoli di coda della trasmissione hanno coperto finendo silenziosamente.

Il silenzio è oro. Sì purchè bianco perchè di oro giallo non c'era traccia alcuna nel Foyer perchè secondo tradizione l'oro giallo non accompagna mai le mise sfarzose le quali devono brillare insieme ai  diamanti e pietre preziose dalle quali sono bandite perle e bigiotteria. Invece quest'anno il foyer alla Scala era piuttosto sul dimesso con delle mises più da party che da Prima della Scala.
Fatta salva qualche eccezione di abiti lunghi con stole di raso o visone bianco ma senza tanti strascichi da Red Carpet Hollywoodiani, le mises erano quasi tutte corte con molto velluto nero e bordeaux, qualche tulle misto a pizzo in stile sirena, e udite udite anche tailleur con giro perle.
Niente oro giallo comunque come detto sopra ma tanti brillanti veri o svarowsky purchè luccicanti, con pietre preziose e qualche collana di bigiotteria a far cineseria.
Guardare per credere.
http://www.corriere.it/foto-gallery/moda/news/16_dicembre_07/madama-butterfly-look-prima-scala-43c9ed02-bc8b-1

Il pubblico era formato quasi esclusivamente da ricchi imprenditori con qualche nobile come l'ex Re Juan Carlos arrivato senza la consorte Sofia dalla quale da tempo è separato in Palazzo facendo vita indipendente per godersi la vita da pensionato di lusso con badanti compiacenti. Poche le presenze di attrici importanti, solo qualche soubrette della Tv e conduttrici di fama come Cristina Parodi la quale era tanto presa a fare i selfie con la sorella Benedetta da lasciarsi scappare lo scoop dell'intervista al Re di Spagna rubatole dall'inviata del Tg 5.
Meglio la fiera delle vanità dove la Paodi ci ha sguazzato alla grande con esperte del settore per fare taglia e cuci alle comparse del Fopyer perchè le protagoniste si sono sfilate elegantemente. Molto presente invece è stato Alfonso Signorini presentatosi in tabarro rosso fuego per catturare l'attenzione riuscendoci benissimo nel mettere in scena La Tragedia di Un Direttore Ridicolo, ben lungi da quel signore gentile educato che si era anonimamente mescolato nel Foyer del Teatro Regio di Parma alcuni anni fa  Scherzi del potere a CHI non ce l'ha. Signori si nasce e lui evidentemente lo nacque signorino.






giovedì 9 febbraio 2017

OMAGGIO A TENCO CON LO ZOO DI VETRO

E' stato piacevole rivedere Arturo Cirllo a Teatro Due di Parma, sabato 21 febbraio, dopo l'Avaro dello scorso anno che tanto aveva stupito non solo per la regia ma anche per l'allestimento scenografico e dei costumi.

Davvero geniale in una sequenza colorata di cubi in movimento ad incastro con un  il ritmo aggraziato del gioco di luci puntate di volta in volta sui protagonisti.


Quella danza di luci che abbiamo visto anche nello Zoo di Vetro con i fari  sul monologo o i dialoghi degli interpreti per poi diventare abbaglianti come le sfaccettature di un svarowsky aprendo la madia con i vecchi abiti degli antichi fasti della gioventù finendo poi a lume di candela di due candelabri in un gioco d'ombre alla Barry Lindom, il film di Stanley Kubrick.




Tante sono le citazioni in questa regia di Cirillo (dove è anche interprete) tratta da un'opera teatrale di Tennessee William nel quale si riprongono gli interpreti del film omonimo Un Tram Che si Chiama Desiderio dove illusione e cruda realta si contrappongono fino alla consumazione di uno stupro violento e conseguente follia.


Il mondo delle illusioni nello Zoo di Vetro pervade tutta una famiglia con una madre ansiosa e onnipresente nella vita dei figli che vorrebbe crescere a sua immagine e somiglianza facendoli invece fuggire dalla sua ombra: il figlio maschio primogenito per inseguire altre ombre che sono quelle del cinema nel quale si rifugia tutte le sere come una sorta di citazione della Rosa Purpurea del Cairo di Woody Allen, mentre la figlia un filo zoppa e timida in maniera patologica si immerge nel vecchio giradischi ad ascoltare canzoni piene di malinconia che in questo contesto teatrale sono quelle di Luigi Tenco con il tormentone “Mi sono innamorato di te, perchè non avevo niente da fare...”


Un niente da fare che è anche il leit motiv di questa famiglia piena di illusioni con la voglia di lavorar saltami addosso perchè troppo volgare e duro è far fatica, impegnandosi solo nel quotidiano  fatto di sole chiacchiere di intrattenimento “perchè una donna deve avere spirito per catturare”, regole da seguire, e sogni da rincorrere.
E qui un' altra citazione al film di Nanni Moretti che a domanda su cosa fai nella vita lei risponde “Parlo telefono vedo gente...”

Quella gente che comunque quando viene invitata in casa porta scompiglio mettendo tutti al loro posto, come una sorta di Giardino dei Cigliegi di memoria Cecov.
Infatti viene invitato a cena l'amico di lavoro del figlio: quest'ultimo è un impiegato senza pretese avendo ben altro per la testa perchè oltre al cinema sogna di arruolarsi in marina per viaggiare intorno al mondo, mentre l'amico che un tempo era il fico della scuola ora si muove con i piedi ben piantati a terra.



Lui  è lo Stanley di turno, quello Del Tram di Tennessee (Marlon Brando nel film), che dapprima gigioneggia con tutti per poi puntare alla figlia Laura per aprirla al mondo dopo che lei gli mostra il suo fatto di piccoli animaletti di svarovwsky che collezione da tanti anni. Lavorare mai!
Lui però il novello Stanley lo fa gentilmente, prima seducendola con il ballo nella quale la fa ancheggiare tra una zoppicata e l'altra per poi darle un bacio che gli fa capire di essere finito in una trappola inducendolo a salutare tutti con un scusate “ho la fidanzata che mi aspetta alla stazione di ritorno dalla visita a una vecchia zia”. Illuso pure lui, e in quello zoo di vetro diventa consapevole di essere cornuto.

Uscendo dalla porta scoppia la follia nella madre che si era illusa di aver trovato nel fuggitivo, mancato fidanzato della figlia, quella sorta di “Un Amico per La Casa” incarnato nella collana di serie Armony che lei vendeva in abbonamento alle amiche mentre il figlio Tom va a vagabondare per il mondo dopo essere stato licenziato perchè trovato a scrivere poesie sui cartoni da imballo.
Girovagando per le strade davanti a una vetrina sente la mano sulla spalla della sorella Laura che lo fa sbuffare dicendole di andare a spegnere le sue candele. E la citazione al film  Candelabre è molto attuale ma quella datata era sicuramente connessa alla Blanche (Vivien Leight) di Un Tram che si Chiama Desiderio in una sorta di messaggio tradotto come  cara sorella Attaccati al Tram o come nel Valzer delle Candele (sempre con Vivien Leight che da ballerina di fila vestita da cigno scade a prostituta) buttati dal Ponte di Waterloo.



 Lo Zoo di Vetro si presta a molte traduzioni con citazioni mirate ma innovate che van dagli autori di Cinema e Teatro passando dalle canzonette sul tango di Grace Jones  di Frantic di Roman Polansky ballata dalle coppiette nel vicolo dietro l'angolo mentre i protagonisti sgolosan dalla finestra, a quelle di Luigi Tenco ante Ciao Amore in una emozionante replica infinita della sorella destinata a diventar la zitella di famiglia
Il tutto in un'ora e mezza di spettcolo che ha raccolto applausi a non finire.
Questo è Teatro: un ensemble accattivante dove sono tutti ugualmente bravi, nessuno escluso, nemmeno chi zoppica e fa di tutto per sparire di scena.