venerdì 14 aprile 2017

IL BORGHESE GENTILUOMO IN LIBERTY


 Il Borghese Gentiluomo è un'opera di Molière poco rappresentata per cui risulta difficile fare un parallelo tra la trasposizione classica e quella contemporanea in scena a Teatro Due con la regia di Filippo Dini.
Il quale dopo l'Ivano dello scorso anno si conferma con una traduzione del classico in liberty.
Le scenografie infatti sono composte da pareti roteanti interscambiabili in stile art déco, corredate da lampadari a gocce a bagliori saettanti per sottolineare lo scintillìo del lusso fra divani e tapezzerie in pendant in una sorta di gazzabuglio fra l'antico, il modernariato ed il metallaro punk caricando di disordine la scena per renderla come in una sorta di bordello pimpante e variegatra a supportare una comicità di un parvenu: In odor di nobiltà.

Questa opera di Molière non è una comedie balet a ritmo di un minuetto a cavallo seicentoe settecento, ma una ballata al suon di una pianola incasinata nella Belle Epoque.
Tanto chiasso in frizzi e lazzi per inquadrare l'ascesa al vertice della nobiltà di un rozzo figlio di mercante diventato talmente ricco da potersi permettere di comprare anche un titolo per elevar la sua persona ad alto rango con relativa stemma a una sorta de' casato de' noantri.
La commedia rappresentata a Teatro Due cade a fagiolo nell'insediamento di Donald Trumpo alla Casa Bianca, prestandosi ampiamento al parallelo perchè anche lui ricco borghese rampichino che grazie all'aiutino di Vladimir Putin è riuscito nell'intento di “comprarsi” il titolo di Presidente degli Stati Uniti pur non avendo i requisiti per governare come statista illuminato, rimanendo sempre e comunque un pidocchio arricchito.

Tutto ruota, come in ogni opera di Molière, intorno al protagfonista, signor Jourdain (Filippo Dini) circondato da nobili squattrinati, stilisti cialtroni, servette  petulanti e saccenti, servi tontoloni, vedove eleganti e raffinate che aprono le gambe di nascosto in modo signorile, figlie truzze assatanate e moglie sciuretta ben felice del suo stato di ricca borgfhese stimata e onorata  conscia del fatto che in business classe sarebbe additata con spregio come rampichina.
Dopo il palleggio delle battute comiche (esilaranti e sganascianti per un pubblico già preparato al divertissment da un intenso battage pubblicitario e suadente giusto per una massa di “pecoroni” tanto per citare Mastroianni  in Ginger e Fred di Fellini), a rappresentare il fascino pacchiano della borghesia che si stava imponendo avendo pane e denti per mettere le mani in pasta nelle brioches della nobiltà. Finita male come si sa.
Anche la commedia finisce male con un escamotage nel quale il protagonista si ravvede dopo averle prese di santa ragione da tutti quelli che gli “volevano bene”, a lui ed al patrimonio che stava dilapitando distribuendo mance a tutti i profittatori adulatori.
La regia è dinamica per cui le due ore passano in fretta anche senza intervallo perchè all'interscambio delle scene provvedono gli artisti stessi muovendo agilmente le parenti roteanti nel piroettante arredo in art dèco con sottofondo il leit motiv della pianola. Tanti applausi per tutti e tanti sorrisi di soddisfazione fra il pubblico:”Finalmente una bella commedia”
E si sa il pubblico nei giudizi  è sempre sovrano. O forse era la claque?


Tra il classico ed il contemporaneo  la claque non si è mai innovata restando rumorosamente immutata nei secoli e millenni della storia del teatro.

venerdì 7 aprile 2017

IL MALATO IMMAGINARIO IN COMEDIE BALLET

Il Malato Immaginario è un'opera di Molière tradotta anche al cinema con un film di Alberto Sordi che della farsa aveva fatto una storia comico-pecoreccia della tipica commedia all'italiana girando intorno all'enteroclisma-alambicco, oggetto del suo “desiderio”  per poi sfociare in un turbinio di venti come preludio per depurare l'organismo di un malato dipendente del piacere anale dato dal clistere e nell'evacuazione sul vasino. Tipica fase, di scuola Freudiana, del bambino.



A Teatro invece ci sono state innumerevoli versioni tutte imperniate su cadenze tristi e lugubri per dare dignità attraverso la sofferenza a un personaggio maniaco delle tisane depurative come a volersi liberare del peso della vita e di tutto il fardello delle responsabiliutà del quotidiano.

Il Malato Immaginario in scena a Teatro Due invece è stato una sorpresa confermata comunque dopo la scorsa edizione della Locandiera  sempre con la regia di Walter Le Moli. Il quale in questi due contesti si esprime rivelando un lato leggiadro del suo spirito creativo  che con il Malato Immaginario di Molière a sfondo musicale e danzante ha raggiunto la punta massima di spettacolo accattivante e di successo.

Con ritmo vivace ha saputo tradurre il testo originario di una comedie-ballet di Molièr  mettendo in scena un ensemble (produzione Fondazione Teatro Due) ben assortito e coeso nel recitare i versi in armonia con una mimica teatrale gesticolante nella forma e dai toni enfatici nella sostanza ad accompagnare i sentimenti dei due giovani innamoratri (la figlia Angelica, Paola De Crescenzo, ed il suo cantore Cleante, Luca Nocera) mentre, danzando sulle note in versi, cantano con voci armoniose il loro amore sotto metafora di un pastore e di una pastorella (tipico connubio dell'immaginario erotico come si evince da tante pitture e disegni dell'era “volgare” che va fino a metà 700).
Il pecoreccio del tema clistere viene sublimato da questa storia d'amore che fa da fulcro alla commedia più di quanto lo possano le evacuazioni del protagonista traducendo in pieno proprio in questo punto la comedie-ballet di Molière innovata con una citazione al musical La-la-Land (candidato all'Oscar con Emma Stone e Ryan Goslyn) con i due protagonisti impegnati in un duetto romantico e mieloso sul filone d'oro dei grandi musical Hollywoodiani.





















Ma sono tutti insieme a danzare con leggiadria e grazia sul palco del Malato Immaginario in un divertissment in ritmo seicentesco come quello che accompagnava i balli a Versailles perchè Molière era un autore alla Corte di Luigi XIV. Il quale comunque aveva rifiutato la rappresentazione dell'opera licenziando il grande commediografo, rispecchiandosi lui stesso o quanto meno buona parte della classe nobile, in quel personaggio maniaco-depresso del malato Argan, Massimiliano Sbarsi,  sempre circondato da luminari della scienza medica in veste di lugubri portatori di morte, dai quali la classe nobile si sentiva dipendente e succube, che pretendevano di dare con salassi e pozioni purgative la guarigione ad un uomo colpito dal male


La battuta di saggezza popolare lungimirante è quella del fratello di Argan, Beraldo (Emanuele Vezzoli) una sorta di angelo custode che lo illumina consigliandolo di liberarsi dei “luminari” prof. Purgon e Fecis (Nanni Tormen) e del figlio di quest'ultimo Tommaso (Sergio Filippa) aspirante sposo imbranato nel corteggiamento della giovane Angelica, perchè per guarire da ua malattia basta mettersi a riposo aspettando che passi seguendo il ritmo della natura la quale dopo ogni caduta risorge trionfante.

Solo dal bene per se stessi può nascere la guarigione per cui tutti intorno lo aiutano a coccolarsi un po' prodigandosi nel fare cerchio esprimendo a cuore aperto i loro sentimenti esternati grazie ad un escamotage della “petulante” domestica la quale facendolo sembrare morto smaschera la sua seconda moglie Beline avida e bugiuarda (Cristina Cattellani) per farlo poi finire fra le braccia dei suoi familiari sinceri nonchè della scaltra ed impicciona serva Toinette (Laura Cleri)  considerata governante insostituibile della casa perchè fedele ed efficiente.
Con una laurea ad honorem in medicina ad Argan, avendo nel corso della sua immaginaria malattia fatto una cultura sui mali e sulle cure, inscenata da amici e parenti recitando in latino maccheronico-gogliardico, il Malato Argan chiude con l'ipocondria entrando in scena in pantaloni dopo essersi liberato della camicia da nottre a danzare con il bastone in mano (arraggiamenti musicali di Bruno De Franceschi) la rinascita in una nuova vita facendo un inchino in sincrono al rotear del braccio.
Questa traduzione di Walter Le Moli è stata molto apprezzata dal pubblico che anche nell'ultima serata, dopo diverse rappresentazioni,  ha fatto il tutto esaurito in sala con lunghi applausi finali a tutti i protagonisti in abiti contemporanei (costumi di Gian Luca Falaschi), tranne Argan in perfetto stile aristo seicentesco ed i medici con mantello nero e becco a rappresentare una classe “precieuses ridicules” mentre gli altri personaggi   erano in borghese a significar che quella classe si stava imponendo in tutta la sua scaltra praticità e voglia di vivere da “incanalare” in senso positivo con arte e operosità.



Classe che comunque emergerà con tutta la sua forza manageriale e tale da superare quella nobile con la Locandiera di Carlo Goldoni in cartellone in replica e sempre sotto la regia di Walter Le Moli il quale ha fatto centro con la doppietta del Malato Immaginario (assistenti alla regia  Caroline Chantolleau e Giacomo Giuntini) sia nella scorsa stagione che in questa attuale. Bel colpo.