mercoledì 30 ottobre 2013

SHAKESPEARE IN POLVERE DI STELLE


(Ma 'ndovai se la banana non ce l'hai?) Molto Rumore Per Nulla in scena Sabato sera 19 ottobre al Teatro Due di Parma in prima nazionale.
Una rivisitazione molto scorretta dell’opera di William Shakespeare che già di suo è una sorta di Taralucci e Vino perchè finisce in vacca.
Infatti la promessa sposa, vergine di nascita, finisce per essere sputtanata e rifiutata davanti all’altare dal promesso sposo caduto nella trappola delle chiacchiere di paese.
Il paese è piccolo e la gente mormora.
E non si fa per dire: fra il pubblico ho avuto il piacere di sedermi accanto a tre giovani inglesi, una coppia ed un terzo arrivato apposta per lo spettacolo all’ultimo momento perché aveva in spalla un grosso zaino.

Il rumore che hanno fatto è stato illuminante perché si sa che loro si cibano di Shakespeare fin dall’asilo con le commediole scolastiche per cui conoscono le battute a memoria.
Infatti ridevano con tempismo pur non conoscendo bene l’italiano come mi diceva il ragazzo saccopelista rimasto attento fino ad un certo punto perché poi cominciava ad appisolarsi.
“Dormi?”  e lui: “Non ce la faccio più” tanto che poco tempo dopo si era alzato per uscire lasciandomi di fianco alla ragazza inglese piuttosto su di peso con un vestito folk lungo fino ai piedi, le spalle nude e le infradito, vagamente, ma molto alla lontana, somigliante a Amy Adams che comunque fa fenotipo di genere Inglese.
La ragazza si scompisciava dalle risate intervallate con commenti a caldo:  “Italiani!” per dire forse che come guitti da strapazzo che tutto traformano in polvere di stelle non sono paragonabili a nessuno.

Della commedia c’è tempo per approfondire ma non posso esimermi dal controbattere a freddo alle battute dell’inglesina perché secondo me, ma questa è un’opinione, voleva ribadire quel concetto di sordida memoria nel quale si afferma, senza ombra di dubbio: “Ci facciamo sempre riconoscere!” 




Ma se un classico è scivolato nell’avanspettacolo come Polvere di Stelle perché noi italiani, diciamolo, ce l’abbiam nel DNA, è da elogiar l’intento molto alto di riportarlo in una location tanto prolifera della cinematografia americana degli anni 50 che va Da qui All’Eternità fino ai giorni nostri con New York New York con Robert De Niro e Liza Minnelli e sottofondo di motivetti swing suonati da orchestrine jazz con tanto di trombe e tromboni.
In questo senso l’operazione è riuscita (al pianoforte Emanuele Nidi, Clarinetto Paolo Panigari, Trombone Fabio Amadasi, contrabbasso Francesca Licaussi, batteria Gabriele Anversa) perché effettivamente l’orchestrina in scena era accattivante proponendo melodie classiche di quel tempo come Blue Moon, Cheeck to cheek e così via ad accompagnar l’inizio delle liaisons e intrecci correlati di pettegoli e impiccioni per rompere o creare rapporti di coppie.

L’orchestrina però segnava il ritmo che mancava alla commedia tutta in falsetto come una serie di gags dei teatrini e compagnie di giro, sempre loro sempre gli stessi che escono ed entrono cambiando abiti di scena. Elisabetta Pozzi e Gigi Dall’aglio (e la regia di Walter Le Moli) per esempio sono come Ridge e Brooke delle soap: se non ci fossero loro a tenere in piedi lo spettacolo…
Meno male che c’erano questo va detto perché sono professionisti sempre amati dal pubblico affezionato così come succede con i protagonisti delle soap sempre presenti in video tanto da sembrare ormai di casa nostra.

Infatti si sono attenuti al testo shakespeariano facendo molto Rumore Per Nulla preso alla lettera perché alla fine (tre ore e mezza di spettacolo) non se ne poteva più tanto che le canzoni del finale suonavano come delle nenie cantilenanti alle orecchie stanche degli spettatori.
Perché tante ore se il soggetto è stato ampiamente trattato nel film omonimo diretto da Kenneth Branagh in un’ora? Per dare modo all’orchestrina di inserirsi nel contesto?Allora perché non fare uno spettacolo con un soggetto nuovo? Molto più facile attenersi a quelli collaudati da tempo che così il successo è assicurato.


Quello che manca a quest’opera teatrale è la leggerezza e credibilità del film con Emma Thompson Denzel Washinghton.
Infatti La Thompson e Kenneth erano totalmente immedesimati nei ruoli di botta e risposta di Beatrice e Benedetto da contendersi la primarietà negli applausi a scena aperta. Tanta competizione da animali da palcoscenico li ha poi portati alla rottura del loro menage coniugale separandosi di brutto.
                        https://www.youtube.com/watch?v=1nbtFFJyB00
In scena invece cavalcavano soavemente le battute shakespeariane danzando un duetto  con ironia e humour molto british del tutto svanito nella commedia a Teatro Due della quale, come detto sopra, ha fatto godere molto la musica.
Un’idea: perché non fare uno spettacolo con l’orchestrina a tutto swing e dare a Shakespeare quel che è di Shakespeare…?


LA TRAVIATA FRA TEATRO, CINEMA E TV

   LA TRAVIATA DI LELLA COSTA

Bravissima Lella Costa, attrice brillante, affabulatrice coinvolgente, ironica e cinica, tenera e dolcissima, dalla parte delle donne.
Con Traviata, L’Intelligenza del cuore, ha recitato un lungo monologo in difesa appassionata delle donne, “quelle” particolari: cocottes, mantenute, prostitute…traviate appunto, contraddistinte da una vita vissuta a…
 “Quanto?” e a ritmo praecox.
“Dai carino, facciamo presto. Già fatto? Sei fantastico!”, a 360 gradi di pari passo con l’amore e con la morte. Ieri era la Tisi, oggi è l’AIDS.
Amore e morte, difficile sottrarsi a questo fascino sottile e vampiresco.
“Ma tu vai con le prostitute?” “Chi, ioooooo?”
Nessuno lo ammette, ma chi…almeno una volta?
A pagamento piace, piace eccome: idraulici, manager, bancari, finanzieri, principi, muratori, geometri, ingegneri, ministri, presidenti, giornalisti, conduttori, speleologi, docenti, medici, infermieri, facchini, avvocati, magistrati, sindaci, assessori, cantanti, baristi, commercialisti e tanti, tanti calciatori.
Una botta e via. No, anche tante chiacchiere, confessioni e forse anche amore.
Amore come quello di Armando e Margherita Gautier, un amore speciale che si chiama devozione e salvezza.
“Amami Alfredo! (voglio succhiare il tuo sangue)” è il grido di Violetta-Margherita.
Pronti! Una mano al portafoglio e un braccio al flebo, risponde Alfredo-Armando al richiamo. E’ la sua fine?
No, perché l’uomo è forte, l’uomo non sa amare.
Dopo quattro mesi di ritiro in campagna con la sua amante, comincia a metter su pancetta e a sbadigliare.
Margherita-Violetta “rifiorita”lo mantiene,
Margherita-Violetta “rinnovata” lo ama,
Margherita-Violetta “intelligente” lo lascia per amore di luied eliminare il contrasto con la famiglia ed il sociale,
Margherita-Violetta va a morire: da donna traviata diventa Divina. Ha studiata da santa e merita la promozione.
Amore e Morte: Giuseppe Verdi voleva che la sua opera si chiamasse così ma gli sponsor glielo hanno impedito imponendogli “La Traviata” perché è così che si chiamano “quelle”.Oggi si chiamano Escort o fica-economy. Da ruggito.







TRAVIATA AL PROFUMO DI VIOLETTA
L’anno scorso è stata la Tata in carriera, una sorta di Mary Poppins che saliva ai vertici delle famiglie che contano nella fiction Solo per Amore.
 Questo sarà l’anno della Violetta strapazzata. Violetta è il nome d’arte: c’è chi la chiama castorina, oppure topa, o meglio ancor prugnetta. Nel Padrino di Mario Puzo è chiamata Violetta, portata da una damigella d’onore e strapazzata in salsa mafiosa. Violetta Valery è invece la protagonista  della Traviata, ovvero di quella celebre Margherite Gautier  del romanzo di Alessandro Dumas, tradotto anche in opera di Giuseppe Verdi.Dal palcoscenico al cinema passando dalla Tv tante sono state le protagoniste di questa storia drammatica. Da ricordare una chiassosa e inconsueta Greta Garbo, e poi una pruriginosa Isabelle Huppert diretta da Bolognini dove l’attrice si proponeva in versione ragazzina e della quale  è rimasta celebra la frase: “Gli uomini vogliono venire a letto con me perché io con loro mi diverto”.



La scena più erotica l’ha  invece proposta Svetla Vessileva la soprano che ha interpretato una Violetta lussuriosa  danzando su un tavolo con la crinolina spaccata in due  per mostrare in alto i calici e in basso la mutanda: libiam, libiam…! Roba da far rivoltare Verdi nella Tomba
La Traviata più fastosa e curata nella scenografia è stata quella girata da Franco Zeffirelli con Katia Ricciarelli (in Teatro) e Teresa Strata al cinema in un tripudio di colori, sale a specchi e champagne che scorreva a fiumi accompagnando i gorgheggi della soprano.
Fra un calice e l’altro faceva capolino anche Francesca Neri  in una fiction Tv girata in coppia con Sergio Muniz, una versione melò che non ha colpito particolarmente per l’improbabile accoppiata.
Più credibile e più scintillante è sicuramente la nuova miniserie Tv per Rai Uno con due protagonisti

d’eccezione come Vittoria Puccini (che in questi giorni sta sbancando il box office perché in testa alla classifica delle commedie all’Italiana con la Vita Facile in sorpasso a Manuale d’Amore tre e Tutti al mare) e Rodrigo Diaz il fascinoso interprete latino di Terra Ribelle messosi in luce per la bellezza talmente strepitosa da stracciare tutti gli altri componenti il cast.




L’accoppiata è di sicuro effetto perché le crinoline pizzi e merletti  come sa portarli la Puccini non si è ancora visto con nessuna, riuscendo lei a valorizzarli al massimo con il viso dolce di una delicata porcellana nel quale gli occhi verdi mandano bagliori di passione ardente. Quella che vedremo consumare nella miniserie per il bel Rodrigo il cui sorriso smagliante è un tiro al bacio con lingua in bocca perché tutto da mangiare in un sol boccone come una bella bistecca di manzo. L’odor di stalla si sa che attira nobili e servette, ma il bel Rodrigo  in questa miniserie vestirà quelli di un nobile nullafacente dedito al vizio del gioco e delle donne di vita, perdendo la testa per Violetta con una finale a sorpresa, tutto improntato al positivo, per stemperare la drammaticità dell’opera e per essere in linea con i tempi che corrono.
Giustissimo perché ai giorni nostri le Escort sono al Top della classifica delle donne più in vista ed invidiate come protagoniste di cronaca rosa e dei giornali patinati perché animano lo spettacolo vivendo poi nel lusso e nello scintillìo come specchio del costume di questa nostra bella società. Scostumata!



  LA TRAVIATA RISORGIMENTALE
  
Violetta fiction Tv ovvero La Traviata l’hanno rivisitata nobilitandola con l’allure dell’eroina risorgimentale.
Operazione Unità d’Italia che era riuscita solo alla Contessa di Castiglione, anche lei donna di un certa “pratica” che era stata ingaggiata da Camillo Benso Conte di Cavour per sedurre Napoleone III ed indurlo ad allearsi con gli Italiani nella guerra contro gli Austriaci.

Cosa che le riuscì in pieno finendo poi i suoi giorni, dopo i momenti di gloria, nell’anonimato.
La Contessa di Castiglione è stata interpretata da due attrici in serial Tv: la prima è stata Virna Lisi  che ha interpretato la Contessa con classe e nobiltà mentre la seconda è stata Francesca Dellera che ha fatto della contessa una nobile stropicciata.
Infatti sembrava sempre una che si era appena alzata dal letto dove ne aveva fatto di ogni, perché il capello a ricciolo era ad effetto spettinato ed era avvolta in crinoline trasparenti che a mala pena coprivano il capezzolo del  debordante décolletè. Insomma più che una contessa una cocotte di lusso sempre in fregola. La scelta su di lei era caduta perché nella realtà aveva sedotto il principino Emanuele Filiberto con il quale aveva convissuto a Parigi in una scabrosa liaison.
Se la Dellera non ha lasciato il segno è da imputarsi anche al fatto che la fiction non fosse entusiasmante mentre Virna Lisi ha nobilitato il ruolo  grazie allo sceneggiato curato nei particolari non solo nei costumi e ambientazioni ma soprattutto nella formazione di un cast d’eccezione formato da grandi attori di teatro ai quali allora si dava molto spazio anche in Tv.


A differenza di oggi invece che gli attori vengono scelti, senza aver mai recitato, fra i reality o varie comparsate Tv dove si distinguono per la loro carnalità come fighi e figottone i quali strada facendo riescono anche a perfezionare il talento naturale. Se ne sono dotati.
Tornando alla Traviata, nonostante la rivisitazione corretta, la fiction è risultata avvincente e gradevole anche se con qualche particolare stonato come per esempio il look della protagonista Vittoria Puccini acconciata più in stile Belle Epoque  che in quello del romantico ottocento così ben rappresentato nella serie cinematografica della Principessa Sissi o del Gattopardo.
Virna Lisi è un’attrice particolare perché molto valorizzata in Patria che ha compreso la sua personalità mentre invece l’America non è riuscita ad inquadrarla volendo sfruttare la sua bellezza perfetta per fare un sex symbol burroso alla Marilyn Monroe mentre invece andava inquadrata in una tipologia più moderna alla Michelle Pfeiffer.
Proprio per questo stampo di modernità Virna Lisi è tuttora un’attrice apprezzata per la sua professionalità ed elegante bellezza senza tempo.

CARRERAS & FRIENDS in un curioso concerto a Brindisi dove canta Traviata con Katia Ricciarelli e un'altra coppia in versione comica.


                                                     

 LA TRAVIATA DI MARIA CALLAS






al Teatro Regio di Parma nel 1951
(di Francesco Maria Piave) Musica di Giuseppe Verdi
Rappresentazioni: 30 Dicembre 1951, 3, 4 e 9 Gennaio 1952
Interpreti: Maria Meneghini Callas (30.12) e Fiorella Carmen Forti (Violetta); Ebe Ticozzi, Maria Varetti (4.1) e Gabriella Galli (9.1) (Flora); Maria Varetti e Sandra Nenni (4.1) (Annina); Arrigo Pola e Gianni Raimondi (9.1) (Alfredo); Ugo Savarese e Walter Monachesi (4 e 9.1) (Giorgio Germont); Vittorio Pandano (Gastone); Camillo Righini (Barone Douphol); Enzo Cecchetelli (Marchese d'Obigny); Aristide Baracchi (Dottor Grenvill). Prima Ballerina: Anna Maria Bruno.
Maestro Direttore: Oliviero De Fabritiis. Regista: Riccardo Moresco. Maestro del coro: Gianni Lazzari.
Scene: Ercole Sormani.
Costumi: Casa d'Arte Imperia.
Impresa: Cittàdi Parma - Teatro Regio.

Altri interpreti: Orchestra e Coro del Teatro Regio di Parma.    








martedì 22 ottobre 2013

LA PRIMA DELLA TOSCA AL REGIO DI PARMA

Con la TOSCA Parma ha chiuso la stagione Lirica 2009 al Teatro Regio.
Le maestranze hanno scelto questo giorno per protestare con i tagli previsti per il prossimo futuro perché la città viene indebolita nella sua cultura di eccellenza.
L’Opera lirica infatti  a Parma è molto seguita anche dai giovani  a differenza di tutte le altre città italiane ed Europee.
Per diffonderla in tutte le case sono presenti anche le Tv locali a trasmettere in diretta lo spettacolo del palco e del foyer.
Pertanto ieri sera era presente solo Tv Parma perché l’altra, quella del Ducato, non ha potuto presenziare per un disguido tecnico (diciamolo pure, un colpo di sfiga perpetrato poi nel tempo perchè è sparita dal foyer per mancanza di fondi).
Dispiace dirlo ma a forza di suonare (da un po’ di tempo a questa parte) campane a morto, a volte tocca.
Sì, perché questa emittente ducale non si accontenta di fare cronaca locale, ma si espande fuori del circondario per andare a cercare gli incidenti stradali, sul lavoro o quant’altro da segnalare nei propri notiziari Tg addentrandosi nei Comuni di  Cremona Piacenza Reggio e  Modena.
Così contendendo il primato dei morti non solo all’altra emittente tv Parma, ma pure al primo foglio locale già famoso di suo per i necrologi dei parmigiani.
Insomma, in una morìa collettiva, la Tosca non poteva che emergere con l’acuto della soprano Micaela Carosi, portata in trionfo dalla platea plaudente.
L’attesa dei commenti nel foyer era molto sentita.
La bionda teleconduttrice di Tv Parma (inviata del foglio locale Gazzetta),  non ha perso tempo rincorrendo il più grande produttore di prosciutti della nostra città, abituale frequentatore del Teatro, al quale ha dato il microfono per il suo parere.
Sull’opera? No sul negozio di salumi aperto recentemente a New York.
 “Ci racconti di questo negozio” chiosava la telegiornalista ganza, over anta, vestita di rosa a palloncino come una fanciulla in fiore.
Certo che allora ha un bel dire il Sindaco di questa città Pietro Vignali che “Parma, con questi grandi eventi, si apre alla cultura”.
Alla cultura nei negozi di salumeria, dove il cotto è un  marchio doc?
Si …”accattatev ‘illo”          

sabato 19 ottobre 2013

MIKHAIL BARYSHNIKOV E ANA LAGUNA IN ASSOLO E DUETTO.



Three Solos and Duet con Mikahil Baryshnikov e Ana Laguna in scena al Teatro Regio di Parma per l’evento Parma Danza Maggio 2009.
Chi dei due ha la dentiera? Nessuno dei due perché alla loro età sanno ancora mordere, alla grande: fisico snello, asciutto per entrambi, scattante e pieno di slanci come quello di due adolescenti che hanno fermato il tempo.
Quel tempo che Mikhail ripercorre trasmettendo immagini docu dei suoi esordi quando veniva filmato negli esercizi alla sbarra come ballerino di grandi promesse.
Perché già da allora, nel ragazzino un filo goffo ma sprizzante energia allo stato puro, si intuiva il talento del grande ballerino. Il più grande di tutti i tempi perché ha oltrepassato il confine del classico della igorosa scuola russa, per unirsi a quello contemporaneo americano, fondendo e rinascendo in tutta la sua originalità.
“Quando sono sbarcato a New York ero ingenuo” dice di sé Mikhail che comunque ha imparato presto la lezione della Grande Mela, fatta di lavoro duro accompagnato da un pizzico di cinismo e tanta fortuna dietro l’angolo. Sì, perché il ballerino che volava sul palco, con l’occhio glauco ed il capello biondo, non lasciava indifferente il pubblico femminile composto per la maggior parte da star plaudenti sensibili al richiamo del suo forte sex appeal. Che veniva sollecitato ad esprimere anche sullo schermo con la partecipazione a vari film ad introdurlo nel firmamento di Hollywood e delle suo quotazioni in borsa. Come la sua, veramente consistente da come evidenziavano le calazamaglie trasparenti con pacco in evidenza. Tanto bastava per conquistare dive fashion di “gusti difficili” del calibro di Jessica Lange e Sara Jessica Parker. Ma non sono state loro a renderlo grande, bensì i suoi balletti che resteranno sempre nella memoria come performance del ballerino classico più aerodinamico che sia mai esistito.
Lo spettacolo è iniziato con un assolo Valse-Fantasie in cui fa sfoggio di talento mimico nell’interpretare un uomo poco prima di incontrare un vecchio amore mai dimenticato.
Davanti allo specchio ricorda nel sistemarsi i capelli ed il vestito, facendo quiei piccoli gesti quotidiani accompagnati alle emozioni che sono riaffiorate e che lo portano a saltare nell’altra dimensione dei classici tre metri sopra il cielo.
Un altro assolto in Years Later danza sullo sfondo dei suoi esercizi degli esordi, ai quali si aggiungono le sue immagini proiettate, una gigante e l’altra ad effetto ombra, mentre lui rimane in scena a dimostrare di non aver mai perso la sua dimensione di uomo normale, con i piedi per terra. Perché i voli pindarici fanno solo parte dello spettacolo e delle illusioni.
Ed infatti quello che stupisce è la sua performance di uomo, più che di ballerino in calzamaglia, perché come tale volteggia sul palco vestito normalmente con giacca e pantaloni: prima con le scarpe da ginnastica e poi a piedi nudi.
Infine ecco l’accoppiata con Ana Laguna, la ballerina di origini spagnole anche lei non più giovanissima, con fili d’argento fra i capelli cresciuti allo stato naturale: no problem, l’energia che sprigiona è ancora più forte e potente.
Prima in un assolo anche lei in cui esprime le emozioni pensando all’incontro con lui, Solo for Two, e poi Place in cui danzano insieme in una sorta di quadretto familiare dove il quotidiano rende un filo demenziali dipanato fra piccoli litigi, dispetti intorno al tavolo da cucina e riappacificazioni con fughe di lei sotto il tappeto, come una qualsiasi coppia normale.
E’ in scena il fascino indiscreto della normalità danzato nella terza età in cui oltre ai contrasti, si fanno conti e bilanci del vissuto.
Uno spettacolo singolare diverso da tutti quelli visti fino ad ora. Molto avvincente nonostante la contemporaneità. Sì, perché la danza moderna non sempre è compresa fino in fondo anche perché spesso risulta un filo noiosa riducendosi a veri e propri saggi di ginnastica con coreografie alienanti da catena di montaggio e musiche che sono un gnigo gnogo a tambur battente. Ricordo una Compagnia di New York che aveva inscenato una coreografia con sottofondo una goccia d’acqua martellante fino alla fine: da urlo, come una sorta di tortura da Guantanamo.
Non è questo il caso perché i quadri coreografici anche se ridotti all’essenziale nelle scenografie sono arricchiti da una bellissima musica che accompagna le movenze dei ballerini: E di questa felice scelta della colonna sonora, va sicuramente il merito all’ esperienza Hollywoodiana di Baryshnikov che comunque non è indicata nel libretto.
L’entusiasmo del pubblico ha sommerso di applausi i due interpreti con un’invasione di ragazzine verso il palco armate di telefonini, nonostante i divieti delle operatrici di sala. Molto piacevole davvero.


martedì 15 ottobre 2013

PORGY AND BESS OPERA MUSICALE

   PORGY AND BESS, APPLAUSI E COMMOZIONE.
Dolore, dolore, dolore. Tanto dolore e commozione fino alle lacrime:
La condizione di un negro d’America negli anni 30 era davvero miserevole.
Nessun diritto, nessuna pietà nemmeno per i vecchi e per gli storpi. Ma la comunità si univa in coro, compatta e solidale, per farsi coraggio e continuare il cammino.
“Fa che la ruota giri, giri, giri…Lascia che giri! Fino a quando incontreremo il nostro fratello nella terra promessa”
George Gerswin l’autore di Poggy and Bess in scena al Teatro Regio, dal 13 al 17 febbraio era fiducioso come se scrutasse da lontano l’orizzonte di gloria di un Barack Obama a riscattare il mondo dei diseredati ed emarginati di colore.
Come quello in cui si svolge la storia di Porgy and Bess (Morenike Fadayomi) divisa fra una passione distruttiva per Crown (Cedric Cannon) e il sentimento sublime per il paraplegico Porgy (Kevin Deas).
Una donna fragile dipendente da tutti, anche dalla polvere d’angelo (coca) che le fornisce un damerino da strapazzo Sportin’Life (cantante-ballerino Jermaine Smith) per farla sua e strapparla ai due rivali. Ma l’amore trionfa sempre.
Quando è forte e sincero come quello di Porgy che, umiliato e offeso, gli dà la forza per vincere in una lotta corpo a corpo con il carnale e volgare Crown per poi correre, lui paraplegico, a NewYork a riconquistare la sua Bess.
Sarà opera, sarà musical, sarà che il pubblico era diviso fra questo dilemma, ma quel che è certo è che questo è uno spettacolo degno di un tempio del melodramma come il Teatro Regio per l’alto livello artistico con cui ha rappresentato sia i cori nei momenti drammatici dei funerali alternati a quelli gioiosi del pic-nic, che gli assolo degli interpreti e vari personaggi, di grande impatto emozionale.
Come quello di Bess che, in bilico fra un dualismo portato agli estremi e vissuto in modo sofferto che fa impazzire gli uomini, passa dal rosso peccaminoso dell’abito scollato a quello pudico e a fiori con disinvoltura e credibilità.
Bravo anche il focoso Crown e poi lui, Porgy il protagonista assoluto, dalla voce calda e sensuale di grande appeal nonostante la sua menomazione (scenica ovviamente).
Di grande spicco anche i personaggi da Maria (Marjorie Warthon) la copia di Mamy di Via col Vento (Ricordate?”…du mangiare come un uggellino miss Rossella…”).
L’apice emozionale è stato raggiunto con l’esecuzione della famosa ninna nanna, il Summertime cantato magistralmente da Clara (Heater Hill). Gli applausi alla fine sono arrivati scroscianti e sentiti. Come tutta l’Opera!
           DIAMANTI AL REGIO FRA UNA CASCATA DI PAILETTES


Una cascata di paillettes è scesa al teatro Regio in occasione della prima di Porgy and Bess, fra le tante signore che si sono ispirate all’America anni 30 e alle musiche di Gerswin.
Paillettes a go-gò su abitini corti con disegni a rombi o a spirale o a forma di di mantelline a ornamento e in applicazioni, ad arricchire accessori nei colori più svariati.
Molte le gonnelline corte, a linee fresche e svolazzanti  di chiffon orlate a nastri, o di raso e taffetà chiuse ad anfora.
Immancabili i soliti tubini neri abbinati alle décolleté a punta tonda, oppure a guanti fascianti o sandali gioiello.
Purtroppo terribili quelli evidenziati in primo piano da una rubrica settimanale locale infilate in calze arete color nudo di stile circense nell’intento di proporre tendenze con rigore tecnico.
Un particolare che avrebbe fatto impallidire Audrey Hepburn perché la rubrica citatava a modello Colazione da Tiffany confusa inequivocabilmente con Sex And The City.
Infatti gli accostamenti eccentrici e stravaganti, come se fossero pescati a caso dagli armadi,  di questo serial televisivo (poi riscattati nei due film omonimi) stanno ispirando i giovani stilisti presenti anche nelle ultime sfilate di Milano – definite “pagliacciate” da (e da che pulpito) Dolce e Gabbana – create con il preciso scopo di conquistare i consensi del mercato americano (quello che compra) controllato dalla sua guru Anna Winthour, direttrice di Vogue  (snobbata da Hillary Clinton la quale continua la sua campagna elettorale con tailleur classici color pastello).
A noi era sfuggito perché rapiti dalla visione di gioielli ben più preziosi sui quali si erano focalizzati gli sguardi nel foyer.
L’attenzione era tutta per loro grazie ai lampi e bagliori multi sfaccettati che emettevano come due diamanti, tanto da mettere in secondo piano l’interesse per le mises.
Stiamo parlando delle due star di razza imperiale, ovvero la bellezza creola di Denny Mendez ex Miss Italia e quella algida di Elena Santarelli, la Bardot italiana, che hanno posato per un’istantanea (foto Rita Guandalini) accanto al sindaco di Parma Pietro Vignali il quale, con questo colpo di teatro (Regio) è riuscito a surclassare perfino Pippo Baudo che, avvalendosi del binomio-soubrette “(queste le ho scoperte io”) mora e bionda, si presentava con orgoglio puntualmente a S.Remo sul palco dell’Ariston.
Così, tutte pazze per Vignali, le signore facevano la fila per salutarlo e per complimentarsi della presenza di Dennis Mendez, sua ospite che, sorprendentemente è ancora più bella dal video che in video mentre la Santarelli  è uguale a come l’abbiamo ammirata al cinema e sull’isola.
Una serata che era partita quasi in sordina stante una rappresentazione per i parmigiani un po’ anomala, fuori dagli schemi della Lirica, e di Verdi in particolare che invece è sbocciata in vivacità ed eleganza come in poche altre occasioni.
Un Regio nuovo, effervescente, colorato solare e vivo perché ormai aperto a tutte le performances artistiche dunque in grado di attirare non solo a livello internazionale ma soprattutto a conquistare le fasce dei giovani che, come ha detto la Santarelli, quando passano davanti a questo Teatro si sentono investititi da timor riverenziale.
Sì, facendo bivacco con le merendine tirando poi dritto verso altri lidi: disco, pub, movide e sbevazzate varie!
         

giovedì 10 ottobre 2013

CARMEN? C’EST MOI

Serata danzante  a Parma Sotto le Stelle nel Cortile della Pilotta con la Compagnia di Antonio Gades in scena con un dramma infinito: quello della Carmen.
Il personaggio di Carmen ha affascinato molti autori a 360 gradi, dalla lirica al cinema ed al teatro passando per la danza, e tutto a suon di nacchere.
Te la canto e te la suono a passo di flamenco, quell’ossessivo battere di tacco fino ad arrivare al colpo secco finale, inflitto alla Carmen da Don Josè, una sorta di Pigmalione vendicativo che non vuole perdere la sua creatura.
Perché Carmen è un predatore, non una vittima, che punta dritta dove la porta il suo istinto erotico.
Un impulso violento e primordiale tale da scatenare passioni ardenti sfociate inevitabilmente in tragedia.
A raccogliere questa tesi, sviluppandola in Teatro è stato il geniale coreografo Roland Petit  perché si è ispirato ad una Carmen in versione maschietta, proponendola con i capelli corti e il corpo flessuoso e acerbo di una ragazzina, un tipo androgino impersonato da Polina Semyonova, la quale ha fatto di Carmen una ragazza di facili costumi che lavorava in una sorta di Moulin Rouge ambientato in un’atmosfera fra il Porto di Marsiglia e la Casbah di Pepèn Le Moko.
Roland Petit è scomparso proprio in questi giorni così come Antonio Gades già da tempo, due autori geniali che hanno dato a Carmen un’impronta maschia cancellata completamente nella recente Opera Lirica al Teatro della Scala con la regia di Emma Dante nel quale l’ultima Carmen in scena era tutto un trionfo di carnalità con forme extralarge e femminilità debordante.
Per non parlare della versione di Monica Guerritore che alcuni anni fa aveva recitato a Teatro in un monologo di stampo femminista esibita in giarrettiera a cavallo di una sedia come una sorta di chanteuse da cabaret, angelo azzurro fatale e crudele.
A gambe aperte in copertina, come la Gilda di antica memoria (impersonata scandalosamente al cinema dalla Guerritore con la regia di Gabriele Lavia) il suo monologo di Carmen si estendeva ad un’intervista fiume rilasciata ad noto settimanale nel quale confondeva il personaggio con la donna.
Una versione poco credibile  per una che aveva dato il nome di Maria Fragolina alla propria figlia. Suvvia…Carmen?Adesso parlo io…intitolava la Guerritore. Ehhhh! anche meno.
Insomma chi è Carmen? E’ la femme racchiusa in tutte noi nella quale purtroppo si identifica un qualche Don Josè di turno. La Carmen ? C’est moi!

     

mercoledì 9 ottobre 2013

TARTUFO SCALTRO E MODERNO POLITICO


Un Tartufo molto interessante, è quello messo in scena a Teatro Due di Parma con l’opera di Moliére e la Regia di Carlo Cecchi con la Compagnia del Teatro Stabile delle Marche e del Teatro Stabile di Napoli, rivisitato e stravolto. (Nella foto una versione con Corinne Clery).
Il suo percorso è chiaro fin dall’inizio quando appare in scena la suocera arcigna e di nero vestita che bacchetta i componenti la famiglia, dalle due nipoti alla signora nuora (seconda moglie del figlio) estendendosi al fratello di lei per finire col difendere un amico esterno, morigerato e pio, senza accorgersi della sua doppiezza.
A contorno, una servetta impicciona e saggia, capace di fronteggiare sia il padrone che le situazioni, un fidanzatino innamorato e un capo famiglia succube della Vecchia Grande Madre e dunque fortemente dipendente da Tartufo (l’amico di famiglia) considerato come punto di riferimento, tanto da indurre a nominare lui, il bugiardo, quale unico erede di tutto il suo patrimonio, escludendo il figlio e concedendogli la figlia in sposa.
Insomma una famiglia con una storia antica ma ancora attualissima.
Infatti dipanandosi fra pettegolezzi, intrecci amorosi e battibecchi fra i componenti familiari, sembra di assistere alla soap Beautiful  che non risparmia colpi di scena clamorosi.
Tartufo è il damerino, farabutto di turno assetato di potere che potremmo paragonare in Beautiful a personaggi (oggi comunque usciti di scena) come Deacon, arrivisti e scaltri, capaci di insidiare contemporaneamente sia la madre che la figlia.
Grazie al loro fascino ambiguo riescono ad inserirsi in una ricca famiglia per impossessarsi del patrimonio controllandola nel seminare le solite storie di corna. Ma con Tartufo, l’agnello vestito da lupo viene comicamente smascherato, come in una sorta di pochade, prima ancora che si arrivi alla consumazione carnale.
E allora, salvata la virtù della madama, la commedia dovrebbe finire bene.
Ma ecco il colpo di scena clamoroso. Giù la maschera, Tartufo tira fuori la faccia dello scaltro politico-voltagabbana, senza scrupoli ma simpatico, furbo nel servirsi della legalità per favorire l’ingiustizia in difesa dei suoi interessi pubblici e privati.
Uno spettacolo attualissimo che non ci viene risparmiato dalla nostra classe dirigente, dove gli affari della politica sono arrivati ad intrecciarsi con quelli famigliari, coinvolgendo ex mogli figli amanti e parenti (v. per citare qualcuno,Mastella  e l'ex  Presidente del Consiglio protagonista “fago tuto mi”: il  colpo di Teatro col Tartufo gli mancava ma la sua realtà ha superato l'opera. Bel colpo).
                 

martedì 8 ottobre 2013

CARMEN TRA CINEMA TEATRO E DANZA

Della Carmen di Bizet per la regia di Emma Dante, che ha aperto la Stagione Lirica 2009 al teatro della Scala di Milano ci sono diverse versioni cinematografiche, teatrali e di danza classica.

La più significativa è quella apparsa per la prima volta sullo schermo interpretata da una fulgida Rita Hayworth che, ancora in coppia con Glenn Ford dopo i trionfi raccolti con il mitico Gilda (in video)
, sprigionava al massimo il suo talento di danzatrice di grande temperamento e appeal  furoreggiando a passo di flamenco per caratterizzare una focosa Carmen, gitana in salsa Hollywoodiana.
https://www.youtube.com/watch?v=Iv9kidnuzSU
Era all’apice della sua carriera e tutti gli uomini erano ai suoi piedi, compreso Glenn Ford nei panni dell’elegante e fascino Don Josè il quale, dopo il film cedeva il passo all’Aga Khan anche lui invaghito perdutamente di Rita.


Un’altra versione molto intrigante in chiave moderna della Carmen è quella del regista Antonio Gades che ha diretto Laura Del Sol con una interpretazione di spagnola doc.
Le forme tondeggianti, il petto importante, il cipiglio deciso e caliente, la Del Sol ha sedotto la platea con un flamenco classico danzato davanti a Don Josè che la guardava rapito in un crescendo  di tempesta ormonale che impregnava l’atmosfera intorno fino a che lei, soddisfatta del punto di cottura, lo assaliva mangiandoselo tutto.
https://www.youtube.com/watch?v=yFjeWWfm4U8

La più originale è quella tradotta in danza da Roland Petit, dove scenografia e costumi stupivano per l’atmosfera "tutta francese", in mix fra Porto di Marsiglia e la Kasbha di Pepèn Le Moko dove le ballerine sembravano uscite dal Moulin Rouge dei quadri di Lutrec.
La coreografia era geniale: il ritmo incalzante della musica di Bizet era arricchita dal coro dei danzatori che ritmavano sia con la voce che con le mani le movenze sensuali di Roberto Bolle il quale incantava nei panni di Don Josè insieme a Polina Semionova in quelli di Carmen, pettinata alla maschietta (come Zizì Jeanmaire, la musa ispiratrice del coreografo Petit).



La bellezza era in scena e la coppia faceva scintille: dopo il preludio della seduzione, iniziava la danza di passione e morte raggiungendo l’apoteosi.

La coppia si fronteggiava in un duello figurato con i passi del flamenco dove i colpi inferti rispettivamente con le punte di lei e il tacco di lui, accompagnavano i rintocchi della morte di un tambur battente, a ritmo serrato sempre più incalzante: punta...tacco...punta...tacco...punta... fino all’ultimo respiro di Carmèn, raccolto con un colpo secco dalla lama di Don Josè: zac!

lunedì 7 ottobre 2013

AIDA IN UN EGITTO KITCH

         
Venerdi 27 gennaio 2012, con in scena l’Aida al teatro Regio di Parma, è calata una pietra tombale sui fasti faraonici di questa città, ivi compresa la Fondazione Teatro Regio in un’amministrazione tutta da dimenticare.
Purtroppo a ricordarla sono state le maestranze le quali in un controcanto con quello sul palco hanno vantato i loro diritti al puntuale pagamento degli stipendi.
La platea non era gremita e c’è un suo perché, sentito da un ex consigliere comunale il quale ha mormorato: “Quando era gratis erano tutti qui e non si trovava un solo posto. Adesso che si paga si sono tutti defilati”.
Poco male, restano gli appassionati veri, quelli dell’Opera Lirica e non dello spettacolo in vetrina, con invasione di telecamere, televeline, teleschedine da giocare al tavolo di Verdi. Le joeux sont faits. E che giochi! Il piatto piangeva e giù a puntare sulla subrettina di turno da esibire a rimpinguar le…casse? No, a rimpinguar e basta con una colpo a destra e uno a manca allo scopo di dare lustro a un Tempio della Lirica come il Teatro Regio che di tutto ha bisogno tranne che di fare rete con le veline di passaggio.
Magari con i format televisivi questo sì, ma il risultato è stato davvero scarso, non all’altezza dell’Opera classica: sbattuta negli show con le romanze cantate fra uno stacchetto e l’altro di ballerine, gags di comici in giuria e presentazioni imbarazzanti affidate a Pupo, ad Antonella Clerici o a Maria De Filippi. Molto bravi a fare il loro mestiere che non è comunque quello di esperti della lirica assurta così a livello di canzonette nel maldestro intento di seguire la strada tracciata da Pavarotti and Firends nonostante Luciano Pavarotti abbia ampiamente dimostrato che un tenore difficilmente riesce a dettare miscelandosi con dei cantanti pop. Unica eccezione è stata con Celine Dion dalla voce divina, a conferma della regola.
Ma torniano al Regio perché l’Aida dopo la protesta, è entrata in scena: lo spettacolo deve continuare fino ad arrivare alla pietra tombale calata sui dui amanti. Così si spera, e non sull’opera lirica.
Il dubbio ci assale nel momento in cui si alza la bellissima porta di geroglifici dorata che fa presagire su tutto il resto anche se la scenografia non troppo originale appaga l’occhio coinvolgendo nell’atmosfera egizia.
Già, l’antico Egitto! Questa è la terra con usi e costumi che si dovrebbe rappresentare senza entrare in confusione come una Torre di Babele del Nabucco perché ci troviamo di fronte a un miscuglio di stili che fan scadere tutto in Kitsch. Amneris è in velluto color vinaccia,  (Baujaulai o Bordeaux a piacere), tessuto e colori inesistenti all’epoca, impreziosita da un décor di passamanerie francaise che va dalla Belle Epoque agli anni’60.
I copricapi invece hanno scatenato la fantasia come a una sorta di sfilata Ascot, di tutte le fogge e di ispirazioni epocali: dalle cuffiette delle Matriosche a quelle di Marco Polo per finire con le tiare dorate delle spose bamboline mediorientali dei souvenirs.
Vabbè che in Cleopatra con Elizabeth Taylor si era arrivato al peggio del kitsch con il mitico copricapo a fiori bianchi simil-cuffietta da bagno tanto in voga negli anni sessanta, facendo per prima dell’Egiptus uno stracul. Kitsch appunto
I costumi di Radames non son da meno partendo dalle tuniche dei Lombardi alle Crociate per arrivare al saio della Forza del Destino quando gira per casa, oh pardon, per la tomba.
Lo spettacolo sorprende invece con la sfilata delle guardie che lo portano al suo destino perché finalmente sono nel ruolo rigorosamente vestiti in uso e costume egizio, mentre lascia a bocca aperta la sfilata di comparse e ballerini al seguito: le vestali sono giustamente coperte da veli, ma lo strascico è da red carpet non da Egitto mentre tutto il resto è in stile Avatar come se il popolo Egitto fosse una metafora dei Blu Navy.
E’ forse un omaggio a Parma l’isola felice di antica memoria?
Sì, memoria d’Egitto perché a rinverdirla in Verdi non sono certo le movenze delle ballerine: spiritose e colorate in bleu, mimano le bambole meccaniche mettendosi anche di profilo per inscenare qualche passo di Twist anni ’50. E qui entra in scena l’omaggio a Bianca Balti e la sua Cleopatra Kistch con lo smarphone.
Kitsch to kitsch la prima cosa bella appare finalmente con l’Aida, molto nella parte vestita a modo in uso e costume Etiope con l’acconciatura tipica a treccine montate a torre e fascia pendant con il vestito rosso prugna. Purtroppo a strascico anche lui raccolto intorno al polso come una damina di fine ottocento in contrasto con il petto molto forte straripante,  tanto che più che in soprano era in tono baritonale da cantante gospel: soul, soul soul….! Infatti è stata la sola ad essere applaudita a scena aperta.
Nel foyer il solito fermento con sfilate di signore in lungo e tante ragazze in corto, a piacere ma senza esagerare stante la crisi in corso.
Lo stilista Artemio approva questa scelta all’insegna della sobrietà: “…meglio il corto che in lungo perchè se deve essere tale deve essere impreziosito e ricercato da far sognare”. Giustamente come quello da red carpet delle telegiornaliste di Tv Parma entrambe in lungo bianco, con bustier per Francesca Strozzi e con la strascico per Nicole Fouquet ad accompagnare Mauro Biondini per le interviste?
Tutte due bellissime: “… ma per il loro ruolo trovo che sia eccessivo”. Così parlò Artemio lo stilista preferito da Katia Ricciarelli ai tempi del matrimonio con il conduttore televisivo Pippo Baudo, elegantissima in abito color champagne.
Libiam Libiam! Se il bar del foyer è sempre gremito, la festa più interessante è sempre quella su nei palchi dove ci sono camericini con tavole imbandite di sfiziosità, fra bollicine, prosciutto e formaggio doc.
Se la pietra tombale calerà tra poco sul faraone, la Festa Parmigiana è più che mai presente in retroscena, in attesa di tornare ai palchi e alla platea, rigorosamente in velluto rosso. Red Passion! Più kitsch di così c’è solo il Trash. Applausi per tutti nel rispetto del lavoro sempre e comunque.

TEMPIO DELLA LIRICA O TEATRO STABILE?



 Ottobre 2012 -  Essere o non essere? Questo è il problema. Il dubbio è Amletico firmato Shakespeare ma la risposta è semplice.

Il Regio tempio della Lirica è il Teatro d’eccellenza,   il vanto della città di Parma perché con le Opere di Verdi al quale è orgogliosa di aver dato i Natali nella provincia di Busseto, si è posto all’attenzione di tutto il mondo, attirando spettatori da ogni angolo della terra.

Anche Teatro Due si dirà. Sì anche la FondazioneTeatro Due il quale, a differenza del Teatro Regio ha una realtà florida per la lunga tradizione consolidata negli anni con la quale ha educato il pubblico portandolo alla maturità e in grado di recepire e tradurre messaggi di opere d’avanguardia e innovative.
Insomma, un modello di qualità sia a livello di idee che di gestione aziendale che realizza in pieno con il sostegno isituzionale del Ministero dei Beni e Attività Culturali Regione Emilia Romagna, Comune di Parma, Fondazione Banca Monte e con la collaborazione della Provincia e il contributo della Conad Nord. Bis! Sottocosto?
Il prezzo dei biglietti non è sottocosto ma accessibile.
In Europa ci sono Teatri che fanno anche di più andando oltre.

Sì perché si autogestiscono senza sovvenzioni con il solo costo dei biglietti divisi poi in stipendi uguali per tutti, dagli operatori delle luci agli artisti, dal regista agli autori che rinunciano alle royalty con le loro opere riproposte ripetutamente stante il reale “consenso” che raccolgono. Bis? Sì ma sottocosto.
Con questo non è che si voglia ridurre l’importanza di due Teatri, Regio e Due, parlando volgarmente di costo o sottocosto, perché in primo piano sono le strategie a luccichio mondano.

La magia del Regio è irripetibile perché oltre alle opere vanno in scena gli spettatori che sfilano nel foyer o affacciati sui palchi oppure seduti in sala dalla prima all’ultima fila, tutti insieme appassionatamente a condividere impressioni e critiche dando un occhio alle mises dei presenti.
Perché noi ci siamo: i bambini con Vi Presento l’Opera (e non importa se poi nel Tempio si tirano le palline di merendine del Mulino Bianco), il popolino (non è brutta parola perché fa stile Risorgimentale come l’epoca di Verdi) e studenti  alle prove generali, i Vip alle prime ed a seguir le repliche per i melomani veri.
Ad immortalar l’evento c’è anche la TV che ha portato il Regio ad un livello di visibilità molto alto a livello Nazionale contribuendo alla diffusione dell’Opera Lirica come spettacolo di massa.
A Teatro Due invece si entra quasi di corsa uscendo poi furtivamente come a voler lasciar in fretta qualcosa che non si è capito fino in fondo senza volerlo confessare all’amico vicino.

Così si sale in macchina con le domande che incalzano: perché Giulio Cesare per esempio lo hanno recitato col cappotto? Qual’ è il significato intrinseco e profondo che nemmeno il depliant spiega?
Il Regio ha tentato questa strada “innovativa” come motivazione di cambiamento rivoluzionario, in realtà per contenere i costi (che volgarità) impossibili da fronteggiare con allestimenti scenografici d’epoca, ma non pare abbia ricevuto consensi. Qualche applauso giusto per non figurar da provinciali ma niente più.

A Teatro Due invece tutto fa perché l’importante non è tanto tradurre fedelmente un’opera ma riproporla con un messaggio attuale spesso legato alla Politica anche se “Il Teatro non si fa per i consensi così come la Politica”. Contraddizioni che inducono a pensare “e allora perché andarci?” Per apprendere, per imparare a capire la vita riflettendo anche su tematiche di attualità o di tragedie mai risolte.
Come l’Istruttoria di Peter Weiss per esempi  o che dal 1984 viene ripetuta ogni anno per ricordare la Soah e il processo ai Nazisti in uno strazio laico senza fine come se Dio non ci fosse stato“…finchè il problema non sarà risolto” come ha spiegato Walter Le Moli uno dei principali ispiratori della necessità del Teatro Stabile.
 Così verrebbe da pensare ai films Il Processo di Norimberga, Schindler’s List  per fare un paragone con l’argomento dei campi di concentramento, o Il Giardino dei Finzi  Contini o Portiere di Notte o Kapo’ per citare i più famosi senza tralasciare La Vita è Bella di Benigni.

L’argomento è importante e unico ma le sfaccettature sono tante dando allo spettatore possibilità di scegliere e dibattere su vari punti per cui sarebbe interessante se fosse così anche a Teatro alternando all’Istruttoria opere di altri autori importanti.
In questo mese autunnale di ottobre si apre la stagione teatrale, sia per il Regio che per Teatro Due (il quale ha presentato in Conferenza Stampa un numero consistente di opere nuove innovative, rivoluzionarie senza rincorrere il consenso) e tutte quelle piccole realtà teatrali che seguono a ruota. E sono tante. Parma prima era piena di Conventi e ora di Teatri. 

Ben vengano, l’importante è suscitare interesse facendo accorrere numerosi spettatori per farsi una cultura maturando un libero pensiero al di là dei critici, delle polemiche e dei giochini di potere su Opere o Pièce allestite più che per una effettiva condivisione con il pubblico piuttosto  per amici e amici degli amici che puntano insieme appassionatamente alle sovvenzioni Statali, Regionali o Comunali.
Perché questo è il problema dei teatri: non essere autonomi e indipendenti.
Così, fin che non sarà risolto, andiamo pur avanti in attesa della primavera a portare una ventata rivoluzionaria: liberté, egalité, fraternité e teatralité. Un colpo di teatro che lascerebbe il segno. E un futuro.   

venerdì 4 ottobre 2013

VIVA VERDI? FORZA PARMA

13 gennaio 2013 - Un Ballo in Maschera ha aperto la Stagione Lirica del teatro Regio di Parma.Viva Verdi? No Viva il Parma. I costumi erano tutto un tripudio di colori. Volendo insistere su quelli del sorbetto lanciati da Sofia Coppola in Marie Antoinette, già introdotti in altre opere con questo Ballo in Maschera si è raggiunto il clou. Del trash. I costumi tutti in lucido-fodera coprivano le vesti dei protagonisti sia uomini che donne con mantelli fluttuanti come nuvole fra pizzi, stivali da “gatto” delle fiabe e pizzi a volontà, con l’immancabile borsa a tracolla per contenere gli schei.Ma è il Parma che l’ha fatto da padrone chiudendo nella scena finale quella del duetto tragico fra il soprano ed il tenore: lei in azzurro cielo e lui in giallo oro.Forza Parma! Ho pardon era la lirica in scena, ma ormai non fa più differenza.Per Parma nel trionfo degli applausi a scena aperta si intende squadra di calcio perché è l’unico settore che viaggia con conti in positivo. Non parliamo di quelli del Regio né tanto meno del Comune. Dunque il Parma oggi è in auge perché si gioca la partita Parma-Juve. A fare il tifo ci saranno tutte le famiglie da grandi e piccini, così come in scena al Teatro Regio. Infatti per far imparare l’opera i bambini sono stati fatti salire sul palco del Ballo in Maschera per la scena del divertissment.Della Juve?Non ci resta che augurare Forza Parma!


CON GISELLE ATMOSFERE “TWILIGHT”


CON GISELLE ATMOSFERE “TWILIGHT”



Con lo spettacolo Giselle il Balletto del Teatro Bol’soj, è di scena la danza classica, quella che attira maggiormente gli appassionati.
E i ballerini del Bol’soj suscitano sempre grande attesa per la loro particolarità nel presentarsi in scena:  dall’ultima ballerina/o di fila alla prima solista sono sempre tutti bellissimi con gambe affusolate e il balletto oltre che danzato, recitato con maestrìa.
Nelle scene di festa, fra il cicaleccio delle contadinelle, danzando sulle punte esse formano quadretti bucolici  che sanno mimare con grazia in sincrono alle espressioni del viso in atteggiamento di stupore, entusiasmo e sincera partecipazione alle vicessitudini di Giselle, la contadinella che ingenuamente casca nella rete del principe travestito da cacciatore per sedurla, la quale morira di dolore non appena scoperto l’inganno.
Un gesto estremo che servirà a trasformare la seduzione in vero amore, quello eterno perpetrato dopo la vita.
La storia, molto romantica e sentimentale, è di grande attualità perché assomiglia a quella riportata con successo sugli schermi cinematografici della serie vampiresca di Twilight ad esaltare quel fascino sottile e decadente dell’amore consumato sotto la luna fra location tombali dove vagano le anime. In questo contesto sono quelle delle Villi, che nella notte si riuniscono per danzare insieme al partner di turno per poi sfinirlo fino alla morte, vendicandosi dei torti subiti dagli uomini, i quali le hanno deluse abbandonandole prima delle nozze. L’anima di Giselle si unisce a loro, ma il suo amore  è talmente grande  ed autentico che salva la vita al principe disperato e piangente accorso al cimitero, dopo aver danzato con lui per l’ultima volta insieme. L’amore vero è un sentimento speciale, conosciuto da pochi eletti, che non può resistere nella vita normale perché la sua sete di assoluto risulta quasi sempre devastante per uno dei partner o per tutti e due insieme.
E’ quell’amore cantato dai poeti, da Shakespeare in particolare con le parole di Giulietta e Romeo dove la pietra tombale cade su entrambi facendoli unire per l’eternità, restando vivi nell’immaginario collettivo.
Con Giselle invece, uno dei due rimane di carne, mentre l’altro è puro spirito comunicando con la forza del pensiero che risponde con l’intensità della loro anima. Il corpo dovrebbe essere solo un optional ma Giselle non lo accetta perché da contadina sa quanto sia importante  la carnalità, quella che serve a perpetrare la specie e far rifiorire la vita. Per questo rinuncia ad attirare il suo amato fra le tenebre. Un gesto generoso dettato dal suo amore, talmente puro da essere infuso di misticismo che nulla vede intorno a sé. Non vede in vita la doppiezza dell’innamorato e non vede da morta la furia devastatrice delle graziose Villi. Lei si muove con la forza del suo amore, che riflette su di lui fino a che i riflessi, diventati lunari, si sono dissolti con le luci dell’alba a segnare un destino ineluttabile: ognuno per la sua strada, in attesa di ricongiungersi per l’eternità. Come Giulietta con il suo Romeo. Ma questo è il balletto di Giselle con la sua originale storia.
Applausi ed ovazioni, con il tutto esaurito, per lo spettacolo.
 Una curiosità importante,da segnalare : fra il palco mi sono trovata in compagnia di alcune ragazze, due giornaliste di Cremona e Milano una delle quali ha stiduato danza classica: tutte insieme all’unanimità,  ci siamo trovate d’accordo sul fatto che la versione di Carla Fracci sia la migliore in assoluto, impareggiabile se confrontata a tutte le Giselle apparse sulla scena, Bol’soj compreso. Come sapeva interpretare lei la scena della follia e della morte, non si è vista mai eseguire da nessuna così perfettamente a tutto pathos. Grande Carla Fracci. Meriterebbe più considerazione da parte di Alemanno. Vergogna!  

I GALA' DI SVETLANA ZAKHAROVA


Dopo diversi anni Svetlana Zakharova è tornata al Teatro Regio di Parma per un altro Galà.



Gli anni passano e anche le ballerine invecchiano ma lei nel fisico è rimasta tale e quale a una ragazzina comunque più top model che ballerina:
longilinea di coscia lunga con petto a calma piatta sembra Audrey Hepburn quando faceva Guerra e Pace come una sorta di principessa sotto mentite spoglie di Vacanze Romane in versione matriosca. Tutta la leggerezza delle commedie brillanti l’avevano cancellata per dare spazio al dramma e alla tragedia dei romanzi di Tolstoj con le protagoniste rigorosamente russe, romantiche appassionate e votate al sacrificio estremo, decadente come l’amore nell’800. Dal quale nascono le Opere Liriche ed il Balletto classico, quello sulle punte portato in trionfo dalle scuole Russe che a tutt’oggi caratterizzano le ballerine per eccellenza i cui virtuosismi raggiungono forme di perfezione sforbiciando in punta di piedi per librarsi nell’aria come voli di uccelli che trovano la loro massima rappresentazione nel Lago dei Cigni.


Nel galà di Svetlana non poteva mancare la morte del Cigno unico pezzo classico fra tante performances di balletto contemporaneo che suona come un messaggio subliminale per dire come la danza classica di principi e fanciulline tra coreografie pompose e barocche, sia giunta al capolinea per dare spazio a forme più moderne che con un fisico scattante e longilineo come quello di Svetlana possono esprimersi in maniera sublime. La Zakharova aveva infatti cominciato ad inserire un pezzo come Revelation nei suoi Galà precedenti che aveva avuto un grande riscontro più forse fra gli addetti ai lavori, coreografi e operatori, che fra il pubblico perché i primi si sono susseguiti per farla continuare nelle performances moderne, tanto da averle inserite per la maggior parte in questo suo Gala.
Una scelta ponderata e vincente che le permetterà di calcare le scene fino a tarda età così come hanno fatto ballerine come Carolyne Carson e Luciana Savignano ancora molto sensuali e seducenti in scena nonostante la non più giovane età, aiutate appunto dal quel fisico alto e longilineo di oscia lunga che manca alla ballerina classica, sempre di statura mignon per permettere al partner di sollevarla come fosse una piuma.

Infatti il partner di Svetlana, nell’ultimo pezzo eseguito in coppia, è apparso sudato e affaticato per lo sforzo di sollevare una ballerina di grande stazza come la Zakharova tanto che in Patria era stata contestata come étoile del Bolshoj proprio per questa sua statura che non  corrisponde ai canoni del balletto con tutù.
Insomma la svolta di Svetlana anche se sembra studiata su misura fa pensare che il balletto classico delle favole, sia solo uno splendido ricordo. Quanto meno a Parma dove il balletto è diventato una sorta di saggio ginnico, eseguito soprattutto a piedi nudi e a corpo libero come una sorta di performance in linea con Amici della De Filippi.
Detesto questo tipo di balletto pur riconoscendo la bravura dei ballerini specie in questo Gala della Zakharova nel quale alcune coppie classiche, di grande slancio e romanticismo (Le Fiamme di Parigi, Illusiv Ball e Giselle) si alternano agli assolo di ballerini dai corpi possenti e scolpiti,  istrioni (Les Bourgeois, Scream and Smile, Feeling Good) e ussari (Gopack), con il clou raggiunto da Svetlana, dopo Tristana, Plus Minus Zero, Acque di Primavera e l’acclamata Revelation,  proprio con la morte del cigno: un canto struggente di infinita tristezza che suona come l’addio al magico luccicchìo fra voile e tulle dei tutù con sforbiciate di scarpette in raso, dei mitici gioielli svarowsky il cui simbolo è proprio un Cigno.
Un messaggio dal Bolshoj non può che fare tendenza.
Il balletto classico esprime il trionfo della femminilità aggraziata romantica e soave mentre in quello contemporaneo il femminile si fonde con la mascolinità del corpo libero e scattante, molto spesso anche meccanico quasi a voler perdere l’anima per concentrare i gesti nella carnalità tutta sensuale. Insomma il balletto sta diventando bisex.
 Dopo, il ballerino maschio si impadronirà completamente della scena: l’unica scena nella quale la femminilità romantica regnava incontrastata! 



(Svetlana Zakharova ai tempi del suo massimo splendore)

venerdì 15 febbraio 2013

A PASSO DI DANZA FRA I GALA DELLA ZAKHAROVA
Un mostro. Così si sente sussurrare fra il pubblico mentre Svetlana Zakharova piroetta come una trottola a batteria, a tutta scena: sicura scattante energica acrobatica e piena di smagliante passione: Il Don Chisciotte è servito. Senza un minimo accenno di “fiatone” raccoglie sorridente applausi ed ovazioni. Brava e poi brava.
Ma con lei anche tutto il corpo di ballo, composto da artisti di prim’ordine che l’hanno affiancata in varie performances in assolo o nei pas de deux. Tutti rigorosamente russi, del Teatro Bolshoj a portare nel mondo l’eccellenza di quella scuola di balletto.
E a  Svetlana il compito di attirare, come étoile elettrizzante, un pubblico sempre più vasto e variegato a dimostrazione che la Danza Classica appassiona ormai più della lirica, anche se rimane uno spettacolo di nicchia perché diffuso fra i  Templi della musica, Scala in primis, ed il Bolshoj nei quali si assiste ancora in religioso silenzio.
Svetlana infatti, a differenza di Roberto Bolle che ha voluto portare la danza nelle piazze per poi scappare a New York perché in Italia non era più un prodotto d’eccellenza esclusiva, è rimasta una ballerina della tradizione classica pur rinnovando il repertorio con performances sperimentali a coreografie moderne trasformandosi nel suo Gala velocemente da  caliente spagnola a muso duro con punta e tacco di Carmen, a  un corposo e sanguigno duello come una sorta di guerra dei sessi, mimato a ritmo battente  e a pugno chiuso in Black.


All’appuntamento arriva con Revelation alla quale Svetlana è particolarmente affezionata avendo la  possibilità di esprimere le emozioni più struggenti e profonde dell’animo di una donna: a piedi scalzi, lunghe chiome sciolte, con una veste di velo impalpabile, si muove sinuosamente con la leggiadria delle gambe slanciate, la scioltezza delle lunghe braccia vibranti, la delicatezza del lungo collo di “cigno” in una musicalità a gocce (con la coreografia creata apposta per lei da Motoso Hiroyama) ad accompagnare con pose estreme un talento interpretativo fuori da comune.

Poteva mancare la morte del cigno? Certo che no visto che questo rappresenta il clou della sua carriera perché l’ha consacrata Divina del Bolshoj.
Dalla Russia con ardore Svetlana ha portato il suo talento ad eccellere con un balletto dedicato all’Opera interpretando una voce lirica che gorgheggiando sulle musiche di Giuseppe Verdi, mima con la danza le movenze vocali  in un ritmico oscillar di spalle come a dar fiato agli acuti, alternando l’espressione drammatica a quella beffarda, per sfociare in un finale di esaltante adrenalina.
Ironia brillante e tecnica perfetta in un mix di arte sublime e originale che rendono Svetlana Zakharova unica in tutto il firmamento anche per quel particolare appeal insito nella statura alta, esile e sinuosa, naturalmente emergente fra un abbraccio corale di interpreti che, raccolto in un solo spettacolo, costituiscono un’offerta di raro privilegio.
     




LA VOCE DI JOSS STONE MATTATRICE A PARMA DANZA

martedì 7 maggio 2013

COMMENTO BREVE E A CALDO
Si è aperta Domenica sera Parma Danza 2013 al Teatro Regio di Parma con l'attesissima nuova creazione di Angelin Preljocal, Les Nuits. Se si parla di ispirazione orientaleggiante da Le Mille e Una Notte il clou si focalizza in realtà su due performarces accompagnate dalla colonna sonora dello spot Chanel di Keira Knightley cantata da Joss Stone It's a Man's World dove prima le danzatrici e poi i danzatori si alternano in due parti diverse in una sorta di sfilata da marciapiede.
Le ballerine infatti sono vestite in mini rosse su trampoli in tinta con lacci e tacchi a spillo che mimano tutte in fila gesti volgari come il dito medio e il manico d'ombrello mentre i danzatori davanti allo specchio si dimenano con le manine sulla patta ad inscenare una masturbazione di gruppo. Era meglio Bejart diciamolo, senza nulla togliere ai ballerini davvero molto bravi.


UN BALLO IN MASCHERA E NABUCCO

11 gennaio 2013
UN BALLO IN MASCHERA NON HA DELUSO L’ATTESA
Grande attesa per l’apertura della Stagione Lirica del Teatro Regio che ha aperto Sabato 11 gennaio con il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi.
Il pubblico ha risposto numeroso applaudendo con entusiasmo all’apertura della prima scena con un divertissment gioioso e accattivante.
Fra cortigiani e coloni che complottavano contro il Governatore c’erano un gruppetto di bambini che correvano sul palco facendo impazzire la nutrice che li accudiva, suscitando in sala gridolini di piacere per l’allestimento. Dopo Imparo L’Opera i bambini sono assurti a livello di comparse sul palco per partecipare più attivamente ed apprezzare la Lirica portando avanti questa tradizione d’eccellenza,  orgoglio di Parma.
Le sorprese non sono finite, perché usciti i bambini di scena è subentrata l’atmosfera sexy quando il Governatore Riccardo si reca dalla zingara per un responso che risulterà fatale per la predizione di morte per mano del suo rivale (Luca Grassi), marito dell’amata Amelia (Anna Pirozzi).
La zingara Ulrica (Julia Gertseva)lo accoglie con le satanesse che si contorcono lascivamente per terra scomponendo le vesti per lasciare le gambe nude fra le quali la più birichina introduce la manina per accendere ancor più il fuoco nella tana del diavolo. Dall’alto dei palchi il panorama era in vista vision mentre in platea forse si è persa l’audace scena: l’unica a mettere un po’ di frizzo, insieme alle piroette del paggetto Oscar (Serena Gamberoni), alla tragedia consumatasi in pieno Ballo in Maschera.
Se le scenografie fra luci e décor raffinati, erano curate non si capisce la scelta dei costumi tutti in tinta unita a tessuto lucido e colori pastello con predominanza di bianco azzurro e giallo quasi fosse un omaggio alla squadra di calcio del Parma.
L’opera infatti si distingue per la grande coralità formata da una squadra di coristi della Filarmonica del Teatro Regio protagonista nel primo e terzo atto, suggestiva e ad effetto portante guidata dal maestro Martino Faggiani.
L’orchestra era diretta dal maestro Massimo Zanetti che ha ricevuto ovazioni indirizzate anche al tenore Francesco Meli con applausi calorosi a tutti gli artisti. Il foyer era gremito di ospiti con signore quasi esclusivamente in abito corto e sexy per le scollature abissali alle quali non hanno rinunciato nonostante i primi fiocchi di neve della stagione. Il Bar è stato preso d’assalto per le ricche sfiziosità sul banco con incredibile vendita di bottiglie di bollicine da consumare sul posto o fra i palchi.
Buona idea perché in questo tempo di crisi è stato giustamente rifornito alla grande, contribuendo insieme ai biglietti agli incassi del Teatro Regio.

martedì 5 marzo 2013

NABUCCO E UN PENSIERO ALLA SHOA.

Applausi tiepidi per l’Opera Nabucco in scena al Teatro Regio la sera del 4 marzo nonostante l’allestimento e il cast di prim’ordine.


A tradire l’opera è stato il frastuono dell’orchestra (diretta da Renato Palumbo) che ha rotto l’incantesimo del religioso silenzio della platea la quale ha risposto con tanti uh uh uh accomunandosi alla guerra di religione messa in scena dal Nabucco.
Una guerra d’attualità dove Assiri e Babilonesi da una parte perseguitano il popolo Ebreo dall’altra, il quale si lamenta sotto il muro del pianto.
Il Coro infatti è il protagonista ed ha aperto il primo atto con una forza di voci compatte per inveire contro il vincitore alle porte fino ad attenuarsi raggiungendo il clou  con il lamento del Va Pensiero sempre di forte impatto emozionale.
La crisi ha investito anche il Teatro Regio che con l’allestimento scenografico si ripete facendo un fondale a muro con blocchi ad incastro che si aprono e chiudono per dare l’effetto a seconda del tema trattato:  di Castello e di Piazza , o di Cattedrale (La Forza del Destino) o quello tombale (Aida).
Insomma una sorte di gioco del lego da comporre a misura di opera. Suonata al ritmo di Giuseppe Verdi in un zum-papa-zum-papa adagio allegro solenne tragico. Troppo forte. E allora stavolta l’orchestra  ha esagerato. A buon intenditor pochi tromboni. E la platea del Regio è sempre composta da buon intenditor. Audio Medica resta fuori dalle porte a fare spot dietro le quinte in compagnia di Maico (sponsor tutti dell’udito) perché i sordi non sono certo protagonisti.
Lavoratori!!! Ecco quelli speriamo che siano stati pagati con la risoluzione del coro di protesta allestito nelle scorse edizioni.  Questa era un’occasione per fare Coro con i protagonisti sul palco al grido di Insieme si Vince. Macchè, va’ pensiero!
Lo Spettacolo deve continuare, costi quel che costi, anche a costi zero che i due milioni stanziati dal Comune non riusciranno certo a coprire se non trova sponsor
che diano ascolto. Con Audiomedica o Maico?
Nessun problema a sentir le voci che si sono elevate dal coro prendendo il volo con gli acuti di Abigalle (Anna Pirozzi) in forma strepitosa come le classiche Soprano della lirica, a contrastare quelli della rivale Fenena (Anna Malavasi) insieme al “fidanzato” Ismaele (Sergio Escobar), il sommo, e si sottolinea sommo, Sacerdote Zaccaria (Michele Pertusi) e un grande Nabucco (Roberto Frontali)
 Insomma lo spettacolo canoro è stato all’altezza delle aspettative perché dal Nabucco ci si aspettano sempre forti emozioni che, in questo contesto, sono impresse anche dai costumi: molto colorati e sontuosi quelli dei Vincitori mentre gli ebrei sono in divisa anni 40 ad evocare i campi di sterminio e la Shoa. Operazione un tantino forzata perchè al tempo di Verdi la tragedia era stata messa in atto come citazione biblica dell’Ebreo Errante ma fervente come Popolo di Dio, e non come detentore di una potenza economica da depredare.
Ma la regia (Daniele Abbado) deve pur far qualcosa che faccia sensazione. Infatti le donne con le gonne longuette, i tacchi a rocchetto e fazzoletto in testa in total-blak erano quelle che meglio  evocavano le tristi sfilate senza speranza verso i Campi di Concentramento.
A Verdi quel che è di Verdi: l’Unità d’Italia in primis. Con Risorgimento.
 Evvai  pensiero!