lunedì 7 ottobre 2013

AIDA IN UN EGITTO KITCH

         
Venerdi 27 gennaio 2012, con in scena l’Aida al teatro Regio di Parma, è calata una pietra tombale sui fasti faraonici di questa città, ivi compresa la Fondazione Teatro Regio in un’amministrazione tutta da dimenticare.
Purtroppo a ricordarla sono state le maestranze le quali in un controcanto con quello sul palco hanno vantato i loro diritti al puntuale pagamento degli stipendi.
La platea non era gremita e c’è un suo perché, sentito da un ex consigliere comunale il quale ha mormorato: “Quando era gratis erano tutti qui e non si trovava un solo posto. Adesso che si paga si sono tutti defilati”.
Poco male, restano gli appassionati veri, quelli dell’Opera Lirica e non dello spettacolo in vetrina, con invasione di telecamere, televeline, teleschedine da giocare al tavolo di Verdi. Le joeux sont faits. E che giochi! Il piatto piangeva e giù a puntare sulla subrettina di turno da esibire a rimpinguar le…casse? No, a rimpinguar e basta con una colpo a destra e uno a manca allo scopo di dare lustro a un Tempio della Lirica come il Teatro Regio che di tutto ha bisogno tranne che di fare rete con le veline di passaggio.
Magari con i format televisivi questo sì, ma il risultato è stato davvero scarso, non all’altezza dell’Opera classica: sbattuta negli show con le romanze cantate fra uno stacchetto e l’altro di ballerine, gags di comici in giuria e presentazioni imbarazzanti affidate a Pupo, ad Antonella Clerici o a Maria De Filippi. Molto bravi a fare il loro mestiere che non è comunque quello di esperti della lirica assurta così a livello di canzonette nel maldestro intento di seguire la strada tracciata da Pavarotti and Firends nonostante Luciano Pavarotti abbia ampiamente dimostrato che un tenore difficilmente riesce a dettare miscelandosi con dei cantanti pop. Unica eccezione è stata con Celine Dion dalla voce divina, a conferma della regola.
Ma torniano al Regio perché l’Aida dopo la protesta, è entrata in scena: lo spettacolo deve continuare fino ad arrivare alla pietra tombale calata sui dui amanti. Così si spera, e non sull’opera lirica.
Il dubbio ci assale nel momento in cui si alza la bellissima porta di geroglifici dorata che fa presagire su tutto il resto anche se la scenografia non troppo originale appaga l’occhio coinvolgendo nell’atmosfera egizia.
Già, l’antico Egitto! Questa è la terra con usi e costumi che si dovrebbe rappresentare senza entrare in confusione come una Torre di Babele del Nabucco perché ci troviamo di fronte a un miscuglio di stili che fan scadere tutto in Kitsch. Amneris è in velluto color vinaccia,  (Baujaulai o Bordeaux a piacere), tessuto e colori inesistenti all’epoca, impreziosita da un décor di passamanerie francaise che va dalla Belle Epoque agli anni’60.
I copricapi invece hanno scatenato la fantasia come a una sorta di sfilata Ascot, di tutte le fogge e di ispirazioni epocali: dalle cuffiette delle Matriosche a quelle di Marco Polo per finire con le tiare dorate delle spose bamboline mediorientali dei souvenirs.
Vabbè che in Cleopatra con Elizabeth Taylor si era arrivato al peggio del kitsch con il mitico copricapo a fiori bianchi simil-cuffietta da bagno tanto in voga negli anni sessanta, facendo per prima dell’Egiptus uno stracul. Kitsch appunto
I costumi di Radames non son da meno partendo dalle tuniche dei Lombardi alle Crociate per arrivare al saio della Forza del Destino quando gira per casa, oh pardon, per la tomba.
Lo spettacolo sorprende invece con la sfilata delle guardie che lo portano al suo destino perché finalmente sono nel ruolo rigorosamente vestiti in uso e costume egizio, mentre lascia a bocca aperta la sfilata di comparse e ballerini al seguito: le vestali sono giustamente coperte da veli, ma lo strascico è da red carpet non da Egitto mentre tutto il resto è in stile Avatar come se il popolo Egitto fosse una metafora dei Blu Navy.
E’ forse un omaggio a Parma l’isola felice di antica memoria?
Sì, memoria d’Egitto perché a rinverdirla in Verdi non sono certo le movenze delle ballerine: spiritose e colorate in bleu, mimano le bambole meccaniche mettendosi anche di profilo per inscenare qualche passo di Twist anni ’50. E qui entra in scena l’omaggio a Bianca Balti e la sua Cleopatra Kistch con lo smarphone.
Kitsch to kitsch la prima cosa bella appare finalmente con l’Aida, molto nella parte vestita a modo in uso e costume Etiope con l’acconciatura tipica a treccine montate a torre e fascia pendant con il vestito rosso prugna. Purtroppo a strascico anche lui raccolto intorno al polso come una damina di fine ottocento in contrasto con il petto molto forte straripante,  tanto che più che in soprano era in tono baritonale da cantante gospel: soul, soul soul….! Infatti è stata la sola ad essere applaudita a scena aperta.
Nel foyer il solito fermento con sfilate di signore in lungo e tante ragazze in corto, a piacere ma senza esagerare stante la crisi in corso.
Lo stilista Artemio approva questa scelta all’insegna della sobrietà: “…meglio il corto che in lungo perchè se deve essere tale deve essere impreziosito e ricercato da far sognare”. Giustamente come quello da red carpet delle telegiornaliste di Tv Parma entrambe in lungo bianco, con bustier per Francesca Strozzi e con la strascico per Nicole Fouquet ad accompagnare Mauro Biondini per le interviste?
Tutte due bellissime: “… ma per il loro ruolo trovo che sia eccessivo”. Così parlò Artemio lo stilista preferito da Katia Ricciarelli ai tempi del matrimonio con il conduttore televisivo Pippo Baudo, elegantissima in abito color champagne.
Libiam Libiam! Se il bar del foyer è sempre gremito, la festa più interessante è sempre quella su nei palchi dove ci sono camericini con tavole imbandite di sfiziosità, fra bollicine, prosciutto e formaggio doc.
Se la pietra tombale calerà tra poco sul faraone, la Festa Parmigiana è più che mai presente in retroscena, in attesa di tornare ai palchi e alla platea, rigorosamente in velluto rosso. Red Passion! Più kitsch di così c’è solo il Trash. Applausi per tutti nel rispetto del lavoro sempre e comunque.

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